Ha ragione il maestro Potenza
quando afferma che prima o poi la fortuna arriva sotto forma di occasioni
inaspettate. Scrivo questo perché già non molto tempo fa ho avuto modo di
intrattenermi con lui beneficiando del suo aiuto, in termini di ricordi
scolastici, per la stesura di un breve testo su l'operato di Giorgio Wenter
Marini, figura capitale per l'Istituto Statale d'Arte di Venezia. E la mostra
in corso presso la galleria “L. Sturzo” mi ha offerto un'ulteriore proficua
occasione per parlare nuovamente del suo lavoro. Se poi a questo si aggiunge
che il mio primo testo critico - era il 1990 - riguarda proprio la sua
produzione artistica, non posso che esserne felice e ritenere fortuita questa
circostanza.
Queste
righe sono perciò il frutto di riflessioni ricavate da un recente
dialogo-intervista tra me e l'artista. E devo dire che sarebbero molti gli
argomenti da sottolineare, ma credo che quello da evidenziare maggiormente, in
quanto ad esso è riconducibile tutto il suo agire artistico passato e futuro,
sia la robusta concezione che Potenza ha dell'idea di Arte: essa è per lui un
amalgama tra un'emozione ed una
sensazione, entrambe istintive, che nascono, metaforicamente, dal suo cuore e
che, attraverso l'ausilio dello studio, o meglio della mente, si concretizzano
tangibilmente in un'immagine. Dunque una sorta di percorso creativo del
“sentire”, il quale parte dal suo Io più profondo e che, una volta realizzato,
gli regala contentezza e soddisfazione personali. E sulla scorta di quanto
affermato poc'anzi, è palese che per Potenza l'arte ha lo scopo di stabilire
una complicità interiore tra l'artista ed il fruitore, protesa ad instaurare
fra i due un sentire comune e condiviso. Queste affermazioni non possono che
appartenere ad una personalità che sul piano interiore si manifesta estroversa,
gaudente e positiva nel porsi d'innanzi alla vita, mentre su quello creativo
essa evidenzia versatilità, eclettismo ed una forte volontà propositiva nel
lavoro, sempre protesa a, come afferma egli stesso, “buttare fuori idee, le
quali a loro volta chiamano altre idee”.
E'
chiaro che questo suo modo di porsi in ambito artistico non solo ha influenzato
tutto il suo agire ma si è pure riverberato sulle opere, anche quelle più
eterogenee, rendendole chiaramente identificabili quali sue creazioni. Tale
riconoscibilità è presente in Potenza fin dagli albori della sua attività,
quando cimentandosi con la figuratività, egli l'ha da subito stilizzata
elaborando una sorta di marchio di fabbrica, il quale, grazie allo studio e
alla ricerca, si è evoluto in modo complesso lungo lo scorrere del tempo per
concretizzarsi in un personale linguaggio, che, appunto, lo identifica subito
distinguendolo dagli altri. L'artista ha quindi creato una sorta di criptico alfabeto,
o simbolo-gramma, impostato su prismi a base rettangolare o circolare, dalle
variabili altezze, che riveste tutti i lavori, sia bidimensionali (arazzi,
carte) sia tridimensionali (pittosculture, sculture). Tale codice, accentuato
molte volte nella sua percezione estetica da un'accattivante, variegata, e pur
sempre giustapposta, mescolanza del
colore, impregna le opere di una forte vibrazione chiaroscurale simile ad una
texture, che travalica il dato estetico, seppur seducente, per ammantarsi di un
forte valore simbolico intrinseco alle forme stesse e che sfocia, addirittura,
in una dimensione etnografica. Infatti l'insieme degli elementi che
costituiscono questa sua enigmatica scrittura è il frutto di un'intensa osmosi
che l'artista ha con la sua città: Venezia. Potenza ha infatti un rapporto
intimo, se non amoroso, così forte con questo luogo da essere riuscito a
captarne l'anima più nascosta, originale, sostanziale, rimanendone ammaliato e
ricavandone sensazioni, emozioni ed idee. Ciò è stato reso possibile perché
egli non ha solo osservato attentamente, ma ha soprattutto vissuto
metaforicamente le atmosfere, le luci, i colori, i riverberi, le forme e le
strutture celate reconditamente dentro scorci di calli, palazzi, edifici,
monumenti, pitture, sculture e canali, con i loro riflessi d'acqua perpetui,
elaborando quindi questi elementi nel suo cuore per poi traslarli sotto forma
di allegorie visive nel suo alfabeto archetipo. Così facendo tutte le sue opere
risultano intrise di un caratteristico gusto personale che nel suo insieme
rimanda ad una matrice culturale veneziana. A conferma di ciò, basta
paragonare, ad esempio, la vibrazione tattile e visiva dei volumi ai riflessi
ondeggianti dell'acqua nei canali o i simbolici cilindretti ai dischi marmorei
delle patere o, infine, osservare i rimandi oggettuali delle inserzioni di
vetro di Murano nei lavori. Ma non solo. Tale sapore lagunare fa emergere anche
riminiscenze sapienziali bizantine, come si evince, per esempio, nelle
accattivanti alternanze luminescenti tra la brunitura e la patina dorata del
bronzo, le quali assumono valenze addirittura ieratiche in cui la luce, come
negli ori delle icone, perde i connotati fisici e reali per divenire
manifestazione divina; oppure come si può notare nell'uso volumetrico,
screziato e sfaccettato delle tessere musive rievocanti i mosaici marciani.
Questo
amore così pregno e sensibile che
Potenza nutre per la sua città è presente in lui ancora prima di instradarsi nella carriera
d'artista. Infatti, da giovanissimo, si recava nelle chiese ad osservare le
varie opere d'arte, in particolare le pitture di Vittore Carpaccio delle quali
focalizzava con attenzione anche i
particolari più apparentemente marginali, come le rifiniture delle decorazioni
di vesti e drappi presenti nell'opera. E grazie alla frequentazione presso
l'Istituto Statale d'Arte, scuola che gli ha fornito le conoscenze e le
modalità progettuali ed esecutive, imparando un'infinità di tecniche artistiche
ed usando i più disparati supporti, egli ha avuto la possibilità di esternare
questo amore e concretizzarlo in modo
più compiuto, come dimostrano le sue produzioni, siano esse tessute, musive,
pittoriche, parietali, scultoree o pitto-scultoree, sia di piccole che di
grandi dimensioni. Perciò, per saper cogliere sino in fondo le opere di Potenza
bisogna interpretarle come i risultati di una riflessione artistica in cui
egli, per dare corpo alle sue idee, si serve dei più svariati mezzi espressivi,
che possono essere realistici, astratti e simbolici, fondendoli con le
caratteristiche zoomorfiche, fitomorfiche o geometriche intrinseche del
soggetto individuato. Egli crea così una nuova forma astratta, la quale viene
ultimata ed amplificata dal rivestimento dell'alfabeto “potenziano”. Il
risultato conclusivo dunque è un soggetto-oggetto traslato sia nel significato
(cosa significa) che nel significante (come si mostra), frutto di
un'elaborazione plurima, tra cui spiccano intellettualità, espressività ed
esecutività.
Oltre
a quanto sopra, sempre per godere appieno del lavoro dell'artista, va altresì
aggiunta un'altra fondamentale caratteristica: Potenza è scultore. Egli dunque
codifica tutto quello che sente, vede, respira e crea attraverso i canoni
ideali della scultura, soffermandosi perciò sull'esaltazione della
tridimensionalità, sul rapporto tra materia e spazio e sulla vibrazione dei
volumi, come ben si evince, per contrasto, nelle opere impostate bidimensionalmente.
Concludendo
questa mia dissertazione, per altro non esaustiva, in merito alla figura di Gianmaria
Potenza, credo sia doveroso ricordare, senza retorica, come tale solido e
concreto artista sia uno dei principali maestri che ancora oggi mantengono viva
la cultura artistica veneziana, facendola conoscere nel mondo, ma soprattutto
mostrandone le peculiarità distintive.
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