La
frenesia contemporanea ha condotto l’uomo verso uno smarrimento morale, ed a
una conseguente perdita di ciò che egli, un tempo, riteneva veramente
importante. Stradiotto con questo nuovo ciclo di opere vuole far sì che
l’essere umano abbia la possibilità di recuperare, a cominciare da se stesso, questa
genuinità oramai svanita e si possa così riequilibrare. E per far ciò l’artista
si è incamminato in una sorta di “ricerca del tempo perduto” umano, sostanziata
da una rigorosa analisi filologica ed etnografica. Ma questo tuffo nel passato
non si è focalizzato sull’età classica (ovvero greca o romana) della quale noi
occidentali siamo intrisi, bensì su un periodo molto più antico e precedente
anche all’arrivo degli indoeuropei: quello preistorico. Questo perché in tale
tempo primitivo, l’uomo, sebbene non esistesse né la scrittura, così come noi
moderni la intendiamo, né la tecnologia attuale e dominasse il tribalismo,
viveva in una struttura sociale matriarcale, pacifica ed egualitaria (come suggerisce
Marija Gimbutas), creando una simbiosi con la natura, tanto da stabilire con essa un rapporto
quasi sacrale, testimoniato dalle vergini nere o le dee madri. Stradiotto è
dunque proteso a far emergere questo “fluire”, come lo definisce, antico che
collega l’essere umano alla natura, e alla convivenza, trasformandolo in
paradigma dall’intento educativo volto a far comprendere all’uomo contemporaneo
ciò che non ha più. L’artista, per rappresentare visivamente sulla tela questi
suoi intenti ideologici, si serve, come si evince guardando le sue opere “Dea
madre” (auspicio all’armonia tra uomo e donna), “Divinità sarde”
(manifestazione di matriarcalità) e “Guerriero nell’agorà” (conferma
dell’avvenuto passaggio al patriarcalismo), di una sua personale
reinterpretazione di sculture, immagini e segni già esistenti e che per altro
da sempre appartengono al nostro subconscio. Ma non solo. Interviene sulle forme
antropomorfe in altri due modi: nel primo, le tratteggia con la tecnica
divisionista (usando pigmenti vicini a quelli antichi come le ocre per i
soggetti o gli azzurri per sacralizzare il cielo), così da amplificare il
crepitare luminoso dei colori; nel secondo, le ammanta di spazialismo, collocandole,
salvo quando si serve della prospettiva, in uno spazio non concreto per trasformarle
in un’unità contenuta all’interno del cosmo. Così facendo aumenta maggiormente
la cifra simbolica dei soggetti, rendendoli ancora più misteriosi e perciò
maggiormente affascinati all’occhio dell’osservatore, il quale non può che
rimanerne attratto e dunque tentare di comprenderli.
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