In molti testi critici per illustrare la
poetica di un artista, ci si sofferma maggiormente sulla trattazione delle sue
opere, descrivendole e contestualizzandole in modo approfondito, col rischio
però di evidenziare principalmente, relativamente alla generazione dell’opera,
gli effetti piuttosto che le cause intrinseche all’artista stesso. Oppure,
talvolta, si compiono, seppur interessanti, voli pindarici tesi a collocare il
tal pittore in un determinato movimento o ad accostarlo al maestro famoso,
evitando tuttavia di soffermarsi approfonditamente sul suo Io creativo. Secondo
tali modalità critiche, sebbene si riesca comunque a delineare l’operato di un
artista, spesso si tralascia di far emergere il processo creativo, la sua
filosofia artistica e le sue motivazioni interiori ed intellettuali.
Questo scritto non ha perciò l’intenzione
di disertare sulla personale visione antropocentrica e filantropica che si
evince guardando le sculture di Ana, nelle quali, la mimesi figurale, intesa
come idea di natura, è immersa in un’atmosfera simbolica dai tratteggi
stilizzati, bensì di cercare di far emergere le motivazioni e le attuazioni, a
livello interiore, che sostanziano in modo costante e continuo l'esecuzione dei suoi lavori. Dunque mi
avvarrò, di una modalità didascalica frutto di una mia rielaborazione ponderata
delle discussioni avute durante alcuni incontri informali, presso la galleria
L. Sturzo a Mestre, tra me e l’artista stessa, tesa a far emergere alcuni punti
focali della sua creatività, ed inizierò, come primo
punto, proprio dalla definizione che lei dà dell’idea di Arte. Quest’ultimo
concetto è per Ana da intendersi, prima di tutto, come un momento di
vita interiore, pertinente alle emozioni, libero da qualsiasi (auto-) inganno e
(auto-) falsità in ambito artistico, e anche morale, che l’artista sente la
necessità di esprimere attraverso un mezzo di comunicazione visivo, concreto e
diretto, costruito tramite parametri di conoscenza, cultura, abilità tecnica e
“consapevolezza dei materiali” per se stessa e gli altri. E per evitare che il
messaggio veicolato sia espresso male, perché non sincero, confuso o,
addirittura, incompreso, esso deve essere capace di mostrare un significato riconosciuto e
condiviso, a livello subconsciale, da tutti. Con tali basi concettuali,
l’artista non può che essere cosciente del progetto generativo ed in grado di
giungere ad un risultato il quale, una volta plasmato nella materia, sia, allo
stesso tempo, sublime nel concetto ed essenziale nelle forme.
Da queste argomentazioni deriva il concetto di finalità
dell’arte, da intuirsi come una necessità intimistica ed interiorizzata rivolta
a toccare celatamente le corde spirituali, morali, intellettuali ed estetiche
dell’animo umano. In tal modo l’opera si trasforma in una visione aperta atta a
riverberare le componenti di cui è frutto: esperienza, storia, biografia. Ma
non è tutto. Tali elementi si trasformano poi in principi costituenti la
conclusione tangibile di una prassi
creativa interiore che porta alla realizzazione della scultura. Tale
percorso inizia con la comparsa
delle idee, da desumersi come armonico
connubio di emozioni e quesiti sull'universale, nel cuore dell’artista, le
quali poi transitano nella sua mente dove si ordinano sul piano sensoriale per
catalizzarsi un una visione antropomorfa dalle valenze simboliche assolute e
composta di pura tridimensionalità la quale sembra muoversi da sempre in uno
spazio e in un tempo virtuali.
Successivamente tale concezione oramai meditata dall’interiorità della
scultrice, attraverso le mani, si tramuterà in sostanziale e tangibile
soggetto: un corpo umano. Quest’ultimo per l’artista è concepito quale
rappresentazione teorica di un archetipo in grado di avvicinarsi ad un concetto
generale e totalizzante di essere umano, perché proteso a manifestarsi in infiniti, ma sempre affascinanti, modi del suo
essere. Ciò è confermato anche dal fatto che le figure, per assumere una
dimensione concettuale, quasi vicina ad uno stato d’animo, hanno perso quei
particolari anatomici, quali la sessualità e la definizione dei volti (usati
dall’artista solo quando è necessaria un’ulteriore valenza estetica), che altrimenti le ancorerebbero alla
concretezza fisica e realistica.
Concludendo, ritengo un evento
positivo il fatto che Ana per migliorare ulteriormente le sue già vaste
conoscenze sul corpo umano, e capire di esso l’organicità e le armonie, abbia
deciso di studiare anatomia presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia ed
successivamente voluto risiedere stabilmente nella città lagunare. In tal modo
il pubblico veneziano potrà conoscere le sue opere, ma, soprattutto,
arricchirsi culturalmente con gli esiti futuri, e forse indirizzati verso una
visione astratta, della sua scultura.
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