E'
oramai da qualche anno che conosco il maestro Giancarlo Novello ed i nostri
incontri sono sempre avvenuti durante i chiassosi momenti che precedevano, o
concludevano, le inaugurazioni di mostre collettive. Ma durante una vernissage
dicembrina a Jesolo, l’artista mi invitò a fargli visita nel suo studio. Sono
sempre stato un sostenitore della teoria, vista anche la mia esperienza
televisiva, secondo la quale per espandere la conoscenza dell'operato di un
artista, bisogna sapersi soffermare ad osservare anche gli aspetti più
reconditi o quotidiani, ma oltremodo sensibili, che si possono riscontrare solo
negli spazi privati dove egli crea. Così quando Novello mi propose di andare
nel suo studio, accettai di buon grado. Una gelida mattinata d'inverno partii
alla volta di Jesolo Lido. Giunto in città, imboccai una deserta e desolata via
Bafile, dirigendomi verso il faro. Arrivato all'ultima piazza, svoltai per immettermi
in una parallela della “rambla” jesolana e proseguii. Ad un tratto scorsi un
anonimo e cupo palazzo, figlio delle architetture della seconda metà del
Novecento. Parcheggiata l’auto, mi misi alla ricerca dello studio. Non fu
difficile trovarlo. Sul lato destro, prospiciente la strada, si scorgevano
delle vetrate dalle quali si potevano vedere quadri, sculture ed altri lavori
d'arte. Giunto all'entrata, inizialmente non feci particolarmente caso a ciò
che vedevo e bussai alla porta. Fino a quel momento, avevo avuto l'occasione di
visitare parecchi studi d'artista e molti di essi, per esempio quello di Oddino
Guarnieri che sembrava una scatola di colore, mi avevano colpito ed
entusiasmato. Ma nel momento in cui aprii la porta, un po' rigida da spingere,
e mi inerpicai su una improvvisata scala di legno, aggrappandomi ad un precario
corrimano, mi trovai d’innanzi ad una realtà parallela al mondo reale: un
amalgama artistico confusionario, ma allo steso tempo pregno, fatto di
innumerevoli quadri, grandi e piccoli, pittosculture, statue, resti di
sculture, barattoli di stucco, tubetti di pigmento, pennelli, spatole, carte,
telai, cornici e molto altro ancora. Su tutto troneggiava, seduto e
rannicchiato su una seggiola, proprio lui, il maestro Novello, intento a
spatolare un’ulteriore opera. L’atmosfera si percepiva in modo molto forte e
denso: essa era intrisa di colore, anzi di un turbine di colori veneziani, o
meglio, “buranelli”, fatto di tonalismi, campiture, virgolettate, visioni,
emozioni, sensazioni, vibrazioni e suggestioni lagunari.
Iniziammo
subito a parlare d’arte. Durante la discussione, si palesò tutta la conoscenza
e la densità intellettuale ed artistica di Novello. A un certo punto il dialogo
si focalizzò sul concetto di arte, ed io chiesi all’artista di darmi una sua
definizione del significato di tale parola. Egli non mi diede una risposta
concettuale, ma affermò di aver avuto solo la fortuna di essere nato dentro un
limo artistico che, durante la prima metà del secolo scorso, aveva trasformato
la piccola, territorialmente parlando, isola di Burano in un grande, sul piano
intellettuale, luogo fecondo per il sapere, perché frequentato da artisti e
uomini di cultura, i quali gli avevano permesso fin da bambino di vivere in
mezzo all’arte. E una di queste personalità è stato proprio lo zio, Francesco
Trevisani, pittore e decoratore, che lo prese, come garzone, a bottega e gli
insegnò il mestiere.
Dalle considerazioni emerse in questo nostro
primo incontro, e anche in quelli avvenuti successivamente, tenendo conto della
fortuita fatalità di essersi trovato al posto giusto ed al momento giusto,
nonché delle vicissitudini che hanno segnato la sua vita, si comprende
l’importanza della componente biografica nell’operare artistico di Novello e
come questa lo ha sempre contraddistinto col passare del tempo. Alla luce di
quanto scritto, e tenendo presente che, come afferma l’artista “…la pittura non
è un fatto unico…”, credo sia possibile argomentare sulla sua opera attraverso
un’esposizione cronologica, per altro non del tutto esaustiva vista la mole di
opere realizzate, del suo lavoro.
Pertanto
è significativo ricordare che, dopo l’iniziale momento giovanile della
formazione, Novello entrò nel variopinto e spumeggiante mondo dell’arte della
città lagunare, partecipando a numerose mostre, ed affermandosi come pittore
figurativo intriso della sicura tradizione veneziana e di intimismo.
Trascorrendo momenti felici, gioiosi e divertenti, amava dipingere immerso
nella natura.
Passarono
gli anni ed il pittore, sebbene continuava a dipingere alla vecchia maniera,
sospinto dalla curiosità, continuò a ricercare per imparare tecniche nuove che
lo affinassero e lo rendessero più versatile se non, a volte, sperimentale.
Sulla scorta di tali studi, e di nuove esigenze sia interiori che
intellettuali, egli inaugurò un parallelo percorso imperniato sulla pittura
astratta dai tratti espressionisti, per evadere dall’affascinante realismo ed
indagare liberamente, infrangendo le forme, le emozioni e successivamente
decodificarle con il colore.
A causa poi di un periodo cupo della sua vita, l’artista
subì un momento di blocco creativo e la sua ispirazione sembrava scomparsa,
tanto che smise di dipingere. Ma l’avvicinamento allo studio delle vite di
artisti conclamati, quali De Chirico, Renoir ed altri, lo stimolava e lo influenzava a tal punto che
riuscì a rimettersi in moto e superare lo smarrimento, imprimendo addirittura
un’accelerazione alla sua euresi.
Con
rinnovato entusiasmo e sospinto da mutate istanze artistiche, e forse per
creare un legame tra il vecchio Novello e quello nuovo, sentì la necessità di
far convivere in modo dicotomico il ricordo sereno della rappresentazione della
natura con l’evasione sentimentale da essa, interpretata dal libero colore,
accostando sullo stesso supporto bidimensionale della tela il figurativo con
l’astratto. Successivamente tale dicotomia a cavallo tra passato e futuro,
venne ulteriormente incrementata di un altro aspetto: quello diaristico. Con
quest’ultimo arricchimento, il pittore volle sedimentare giorno dopo giorno ciò
che viveva e gli accadeva, accentuando in tal modo la dimensione biografica. Su
questa singolare forma di libro costruito su quadro, Novello scriveva, con il
colore, come una sorta di amanuense, le antiche, realistiche, e le nuove,
astratte, pagine della sua vita. Ma non è tutto. Questa sorta di pittoscultura
si evolse ed inaugurò una nuova fase creativa: sul lato della pagina informale,
il pittore collocava una sorta di scultura, fatta di tela irrigidita, che chiamava
“Anima”, la quale, con i suoi pieni e vuoti, oltre ad aumentare la
tridimensionalità, voleva rammentare ancora più prepotentemente l’aspetto
biografico, esorcizzando un particolare e triste momento trascorso.
Ultimamente,
superato anche tale frangente artistico, Novello, sebbene continui a colorare
anime, sospinto sempre dalla sua irrefrenabile curiosità, ha inaugurato un
nuovo dualistico stadio creativo-biografico. Egli infatti ha sentito la
necessità, da un lato, di far sintesi di tutto quello che ha indagato in
passato, iniziando a far “sfiorire” la pagina astratta, per rivestire con altri
significati le sue emozioni, dall’altro, di inserirsi nella scia dell’Optical
Art, creando nuove opere, fatte di squarci di colori dipinti su cerchi
sovrapposti, che girano spinti dall’osservatore, facendo emergere così anche il
dato sensoriale.
Concludendo,
non posso non ricordare il fatto che Novello ha praticato, e tuttora
continua, anche la scultura. Essa è da
lui usata non solo per concretizzare un soggetto, ma anche per indagare i
concetti di forma e tridimensionalità. E per realizzare tali lavori, l’artista
si è servito sia del realismo, del simbolismo, che della loro fusione, creando
opere che rimandano all’ambiente lagunare (come, ad esempio, i rematori su barca),
ad una natura simbolica (si vedano i grandi animali) e alla metafora (come il
grande angelo-tronco, composto interamente da una miriade di “anime”) quasi
tutti spruzzati da quel suo vibrante colore che gli rammenta sempre la sua
Burano.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.