giovedì 7 luglio 2011

Livio Ceschin

“Io incido quello che mi suggerisce la natura”. Solo da questa frase si può comprendere quale sia il viatico che fa muovere tutta l’opera artistica di Livio Ceschin. L’elemento naturale é infatti posto al centro e diventa fonte di emozioni e di sensazioni che l’artista, con il suo bulino tenta di cogliere e bloccare sulla lastra. Egli stabilisce quasi un rapporto di osmosi tra se stesso e la natura, mettendo in evidenza tanto il minimo particolare, come una singola foglia, quanto la grande impianto paesaggistico. E’ chiaro che l’artista deve essere capace di porsi in ascolto per cogliere i messaggi che la natura emana e lo fa con religioso silenzio, sgombrando la mente dal superfluo, ed estraniandosi dal frastuono contemporaneo. E’ proprio così che Ceschin riesce a far immergere il fruitore nel sua visione a tal punto, da fargli realmente sentire il rumore dei passi di un camoscio guardando le impronte che l’animale ha appena lasciato sulla neve candida, oppure il lento scorrere di un corso d’ acqua, o il fragoroso ondeggiare delle fronde degli alberi. Ma questa particolare sensibilità da sola non è sufficiente a “toccare il profondo degli altri”, come giustamente afferma Ceschin. Infatti oltre allo spirito creativo per lui è necessaria la conoscenza di una grammatica tecnica tale da permettere all’artista di possedere un mezzo espressivo, che consolidato nel corso del tempo, sia capace di evidenziare al meglio da una parte li significato e dall’altra il significante di un’opera. Tuttavia questo non basta ancora: per Ceschin è indispensabile anche l’acquisizione di una solida coscienza artistica, che inizia dalla conoscenza della grande tradizione grafica veneziana, i cui primordi risalgono già al Mantegna, fino a consolidarsi nello studio della Storia dell’Arte, della letteratura, della musica, del teatro, del cinema, in modo tale che l’artista abbia così la capacità di focalizzare la propria attenzione su argomenti o autori che siano in grado di arricchirgli lo spirito e rendere più pregne le proprie creazioni. Livio Ceschin punta perciò alla compenetrazione tra l’io creativo e un grande bagaglio culturale, libero sia nello spazio sia nel tempo, in modo tale da far scaturire una solida e continua ricerca sulla natura, liberandosi così dalla sterile improvvisazione attuale o dallo statico manierismo che talvolta capita di vedere. Guardando le sue incisioni, giocate tra la punta secca e l’acqua forte, si scorge come il suo, quasi esasperato, ortografismo esecutivo sia in grado di dare voce all’atmosfera che traspira dalla rappresentazione, tanto da trasformare la prosa visiva in intima poesia, fatta di calma, serenità, dolcezza e quotidianità. Talvolta questi versi incisi si arricchiscono di citazioni calligrafiche vere e proprie, che accentuano il senso dell’inesorabilità del tempo, come si nota in “Luoghi della memoria”, oppure talvolta sembrano traspirare dall’opera stessa come accade in “Angoli dimenticati” dove la melanconica immagine del giardino coperto di foglie ci rimanda a languide atmosfere francesi di fine Ottocento. Va infine sottolineato come l’approccio intimistico, quasi sacrale, tra l’uomo contemporaneo e Natura che Ceschin sa far emergere nelle sue opere, altro non è che il bisogno che questo uomo ha di ritrovare quella simbiosi con la natura che oggi sembra aver perso.

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