Se si potesse riassumere con poche parole l'ammirazione che Raffaella Campolieti rivolge al mondo della donna, basterebbe considerare quanto dice Mark Twain: “Che cosa sarebbe l’umanità, signore, senza la donna? Sarebbe scarsa, signore, terribilmente scarsa.” Affermo questo perché l'artista ha eletto come tema fondamentale della sua opera la donna. Infatti di quest'ultima la pittrice vuole sottolineare il coraggio, l'elasticità e l'impegno nell'affrontare la vita in tutte le sue sfaccettature, siano esse positive, che, soprattutto, disagevoli e pericolose. L'intento quindi della pittrice è dunque quello di analizzare la donna sottolineandone, da un lato, la sua necessitarietà per i molteplici ruoli che essa ricopre, come ad esempio quello di madre e moglie, e, dall'altro, il suo concreto impegno all'interno della società contemporanea, allontanandosi in tal modo dal femminismo di facciata e dal vacuo edonismo massmediatico. Il desiderio di infondere alle sue donne questa concretezza consapevole è così forte da immedesimarsi con esse.
Per rappresentare sul piano iconico le sue volontà ideali, l'artista ha voluto ammantare le figure femminili di infiniti piani interpretativi, come se questi richiamassero i ruoli della vita reale. E per far ciò, ha creato uno stile personale, fatto di brevi tratti sui quali ritorna più volte con pennelli piccoli, con il quale delinea un singolare ritratto della donna che, colta frontalmente ma con lo sguardo che evade quello dello spettatore, sembra emergere da uno spazio infinito. In tal modo la pittrice crea un'atmosfera in cui il concreto si confonde con il metafisico e dove il soggetto è così sospeso a mezz'aria tra la concretezza della terra e l'ineffabilità del cielo (“una sorta di reale astratto”), da indurre lo spettatore ad immaginare e fantasticare sulla figura femminile che ha d'innanzi. Oltre a ciò, per aumentare questa evasione riflessiva in chi guarda le sue opere, l'artista riveste le sue donne di un paradosso visivo il quale si sfonda, da un lato, su una fascinosa idealizzazione dei volti e, dall'altro, su una storicizzazione degli indumenti e dei particolari che vestono la figura. Ma non è tutto. Queste “figure” femminili, come capita a molti artisti, sono anche da intendersi quali trasposizioni di un amalgama in cui emerge l'Io più profondo dell'artista e la sua sua biografia. Infatti l'espressione malinconica e nostalgica che si evince osservando quegli icastici sguardi, altro non è che la trasposizione interpretata degli stati d'animo inerenti situazioni e fatti vissuti dall'artista lungo lo scorrere della sua vita.
É proprio questa dimensione rivolta al ritroso del tempo passato che, inconsciamente, ha portato la pittrice a stabilire delle similitudini fra la sua pittura e l'opera e la vita dello scrittore Marcel Proust. Campolieti trasforma il letterato francese, oltre che in un soggetto ideale, in un grimaldello che le permette di riportare in vita i ricordi della sua biografia, tanto che ella sofferma la sua attenzione su alcuni personaggi che l'hanno particolarmente colpita. Infatti, scavando dentro la loro psiche ed interpretandone le caratteristiche interiori, ha scoperto come queste ultime siano comuni anche alla sua dimensione interiore tanto da creare una sorta di osmosi tra le sensazioni e le emozioni dei protagonisti proustiani e lei stessa. Non va dimenticato che l'artista, prima di raffigurali, sottopone i protagonisti dei romanzi e le persone reali che si sono relazionate a Proust, nonché l'autore stesso, ad un'attenta analisi storica in modo da ancorarli al vissuto dell'epoca.
Concludendo, se si osservano le opere di Raffaella Campolieti si comprende come i suoi soggetti, siano questi figure femminili ideali o persone realmente esistite, avendola affascinata (si veda il ciclo dei Borboni di Napoli), sono tutti protesi a far emergere un'introspettività psicologica capace di stabilire un legame con quella di chi li osserva, creando in tal modo una condivisa atmosfera sensibile. E questo credo sia il tema dominante dell'esposizione inaugurata presso la Galleria L. Sturzo di Mestre: i ritratti incentrati su Proust, unitamente a quelli di scrittori ed artisti ad esso coevi, non sono da intendersi come modelli realistici ma quali stilizzate, e perciò simboliche, figure che divengono tramite per rievocare, patendo da rimandi storici, infinite sensazioni e riflessioni sia nell'artista che nell'osservatore.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.