lunedì 3 settembre 2012

Stefano Zanus

Caro Stefano
     E' ormai da più di dieci anni che ho l'occasione di osservare il tuo operare artistico e, se dovessi definirlo con una parola, userei l'aggettivo poliedrico. Affermo questo perché ti ho visto nelle vesti di grafico, fotografo, pittore “verista” e “informale”, scultore, performer e creatore di  installazioni. Ma non solo: ti sei profuso nella realizzazione di eventi culturali che hanno coinvolto svariate branche dell'arte. E' poi doveroso sottolineare che, in tutto questo, nulla è mai stato affidato al caso, anzi! E' sempre stato possibile, e lo è tutt'ora, percepire sia l'intenso lavoro intellettuale che le opere nascondono, fatto di studio e progettazione, sia, da un lato, le svariate e giustapposte compenetrazioni tra più le varie tecniche esecutive e, dal'altro, l'utilizzo dei più oculati supporti.
      Tali modalità creative, unitamente alle tue necessità culturali ed alle tue ricerche, ti hanno condotto verso uno sperimentalismo fatto di serietà ed eclettismo che ha accompagnato tutta la tua carriera. Prova di quanto scritto, è la “Dripping Light Art” (ovvero: “L'arte del gocciolamento della luce” in acronimo: D.L.A.). Tecnica, come affermi, che segue un preciso e ponderato schema di svolgimento artistico che nel corso del tempo si è evoluto: progetto di ripresa fotografica, predisposizione dell'apparecchio, esecuzione, sviluppo, elaborazione grafica, preparazione dei supporti e trasferimento delle immagini. Partendo dalla bidimensionalità della pittura ad olio e passando per una tua personale interpretazione dell'Action Painting, impostata sul variare dei movimenti della ripresa fotografica, sei giunto allo spazio tridimensionale ed alla sua gestione, creando istallazioni e performances. Più recentemente, tale percorso si è orientato verso il tentativo di realizzare una scultura fatta attraverso il Dripping. Tale proposito evidenzia non solo un'evoluzione, per altro naturale, ma il tuo bisogno intellettuale proteso a cogliere e rappresentare la mutevolezza del concetto di visione dell'immagine dell'opera, nella quale la luce e l'atto sono gli elementi generatori.
     Come ho già avuto modo più volte di scrivere, la tua Arte è volta ad indagare la società contemporanea, analizzandola sotto il profilo sia sociologico sia metaforico, per offrire allo spettatore uno spunto di riflessione. Questa mia affermazione è suffragata dal fatto che l'opera vede il suo costruirsi all'esterno per aggettarsi, metaforicamente e fisicamente, verso le persone, stabilendo così una comunicazione interattiva, o meglio un transito, di significati tra te, emittente, ed il pubblico, ricevente.
     Anche questa tua nuova esposizione dal titolo “Dripping…after?” (“Dopo il gocciolamento…?”) presso la galleria veneziana “Il Dictynneion” esplicita e rivendica nuovamente gli aspetti che ho espresso poc'anzi,  ma fra i quali mi sento di sottolineare il concetto di gestualità. Quest'ultima, come sottolinei, sul piano esecutivo ti rimanda al Dripping di Jackson Pollok, artista del quale celebri i cent'anni dalla nascita, ma sotto il profilo ideologico essa ne diverge perché il tuo usare la luce della fotografia, anziché quella del colore, ed il tuo agire non attorno ad una tela, ma dentro un contesto atto alle perfomances, ti obbliga a relazionarti non più con il concetto piano della tela contenuta in una ristretta stanza, ma con le grandezze dello spazio aperto e tridimensionale, nel quale il pubblico non è più solo osservatore ma parte o partecipe dell'opera.
     Dunque, la tua gestualità, per la grande quantità di fattori tecnici, metodologici e dimensionali, ti porta a pensare ed a procedere in modo antitetico all'artista americano, il quale, è ovvio, per biografia, necessità ed ambientazione spazio-temporale è diverso da te.
     Oltre a ciò va rimarcato che, avendo inventato un tuo personale metodo fotografico, le tue opere possono esulare dal classico dripping permettendoti di affascinare e stupire il pubblico in ogni occasione.

domenica 2 settembre 2012

Teresa Palombini

Di fronte alla domanda su quale fosse il suo concetto di Arte, Teresa Palombini non ha saputo dare una definizione categorica, perché la considera, modestamente, una “cosa” più grande di lei. Ha poi affermato che lei, più che artista, si sente una persona che dipinge “per dire la sua”. Cosa comunica questa espressione? E' un modo per esprimere il proprio stato d'animo, un disagio, una riflessione su una condizione personale interiore e/o su un evento sociale. In tal modo ella ha la possibilità di sottolineare il suo esserci nel mondo ed il suo agire. E per dar corso a tali propositi, l'artista ha creato una sorta di progettazione esecutiva: una volta maturata un'idea ed aver palesato nella sua mente il quadro, si documenta, recupera informazioni ed immagini, esegue un bozzetto per poi passare alla realizzazione del dipinto. Per essere il più efficace possibile sul piano rappresentativo e comunicativo, nel descrivere e nel raccontare, si è avvalsa di una sua personale ed ideale interpretazione sia del simbolismo sia del surrealismo. Le immagini sono composte da oggetti o da una o più figure poste in primo piano, prevalenti sullo sfondo o sul contesto, ed arricchite da altri elementi o immagini raffigurate con modalità allegorica, attinenti al tema trattato, in modo da evidenziare per paradosso o affinità il pensiero della pittrice. Del surrealismo Teresa Palombini reinterpreta due modalità: il realismo ed il colorismo. La componente realistica rende più funzionali le necessità del dipingere orizzontalmente, modificando la visione di alcuni particolari che visti verticalmente sembrerebbero apparentemente alterati, curandoli attentamente, ma dando, nell'insieme, un'immagine mediata e poco appesantita. La seconda componente, invece, visto che il colore per lei è sinonimo di vita, porta l'artista a creare misture facili di colore ad olio, nelle quali si originano tonalità ben amalgamate ed atmosfere pacate. Sebbene fin da bambina amasse disegnare, creare con le mani, dipingere, ammiratrice delle opere di grandi pittori come R. Magritte, solamente nel 2008 si è decisa di entrare concretamente nel mondo della pittura, iscrivendosi ad un'associazione artistica, prendendo lezioni di pittura e dedicandosi in modo incisivo a concretizzare la sua personale ricerca artistica. La via dell'arte non è facile, ed il perfezionarsi è per un artista necessario, ma Teresa Palombini vi è già convintamente instradata.