giovedì 7 luglio 2011

Maurizio Perozzi

Pittore e scultore, Perozzi ha fatto dell’analisi della società contemporanea il cardine essenziale della sua filosofia artistica. L’arte diventa un tramite per l’esplicazione analitica, che talvolta sfocia nella denuncia, delle incongruenze morali tipiche della nostra contemporaneità. Ecco quindi che emergono tematiche quali il consumismo, l’inquinamento, la mancanza di valori, che trasformano le opere di Perozzi in testimonianze della realtà contemporanea, costringendo alla riflessione il pubblico che osserva ed allo stesso tempo allontanandosi dalla rappresentazione estetica fine a se stessa. Parlando delle sue sculture, vediamo come grandi colature a forma di blocchi, fatte di plastica ma simili al bronzo, manifestano il malessere della nostrà società la quale ha eletto a bene supremo proprio la plastica, senza tenere conto dei danni che ne conseguono al suo uso. Le sue plastiche sono perciò grovigli materici e reali che denunciano le schizofrenie dell’uomo di oggi. Nella pittura, l’artista esprime questi stessi concetti attraverso l’uso di altre tecniche e di altri materiali: la foglia d’oro, caratteri di scrittura, ritagli di giornale e concrezioni di oggetti; il sovrapporsi di tutte queste esecuzioni artistiche crea singolari pittosculture, che manifestano la sua accusa, e talvolta la sua rabbia, per le storture del mondo odierno che, inerme ed incosciente, sembra dirigersi verso l’autodistruzione. È già a partire dal titolo che lo spettatore viene guidato nella lettura delle opere di Perozzi, addentrandosi all’interno ed indagando il dipinto per trarre le debite considerazioni, come si evince in “Omaggio della Biennale” in cui emerge il tema del consumismo deviato.

Livio Ceschin

“Io incido quello che mi suggerisce la natura”. Solo da questa frase si può comprendere quale sia il viatico che fa muovere tutta l’opera artistica di Livio Ceschin. L’elemento naturale é infatti posto al centro e diventa fonte di emozioni e di sensazioni che l’artista, con il suo bulino tenta di cogliere e bloccare sulla lastra. Egli stabilisce quasi un rapporto di osmosi tra se stesso e la natura, mettendo in evidenza tanto il minimo particolare, come una singola foglia, quanto la grande impianto paesaggistico. E’ chiaro che l’artista deve essere capace di porsi in ascolto per cogliere i messaggi che la natura emana e lo fa con religioso silenzio, sgombrando la mente dal superfluo, ed estraniandosi dal frastuono contemporaneo. E’ proprio così che Ceschin riesce a far immergere il fruitore nel sua visione a tal punto, da fargli realmente sentire il rumore dei passi di un camoscio guardando le impronte che l’animale ha appena lasciato sulla neve candida, oppure il lento scorrere di un corso d’ acqua, o il fragoroso ondeggiare delle fronde degli alberi. Ma questa particolare sensibilità da sola non è sufficiente a “toccare il profondo degli altri”, come giustamente afferma Ceschin. Infatti oltre allo spirito creativo per lui è necessaria la conoscenza di una grammatica tecnica tale da permettere all’artista di possedere un mezzo espressivo, che consolidato nel corso del tempo, sia capace di evidenziare al meglio da una parte li significato e dall’altra il significante di un’opera. Tuttavia questo non basta ancora: per Ceschin è indispensabile anche l’acquisizione di una solida coscienza artistica, che inizia dalla conoscenza della grande tradizione grafica veneziana, i cui primordi risalgono già al Mantegna, fino a consolidarsi nello studio della Storia dell’Arte, della letteratura, della musica, del teatro, del cinema, in modo tale che l’artista abbia così la capacità di focalizzare la propria attenzione su argomenti o autori che siano in grado di arricchirgli lo spirito e rendere più pregne le proprie creazioni. Livio Ceschin punta perciò alla compenetrazione tra l’io creativo e un grande bagaglio culturale, libero sia nello spazio sia nel tempo, in modo tale da far scaturire una solida e continua ricerca sulla natura, liberandosi così dalla sterile improvvisazione attuale o dallo statico manierismo che talvolta capita di vedere. Guardando le sue incisioni, giocate tra la punta secca e l’acqua forte, si scorge come il suo, quasi esasperato, ortografismo esecutivo sia in grado di dare voce all’atmosfera che traspira dalla rappresentazione, tanto da trasformare la prosa visiva in intima poesia, fatta di calma, serenità, dolcezza e quotidianità. Talvolta questi versi incisi si arricchiscono di citazioni calligrafiche vere e proprie, che accentuano il senso dell’inesorabilità del tempo, come si nota in “Luoghi della memoria”, oppure talvolta sembrano traspirare dall’opera stessa come accade in “Angoli dimenticati” dove la melanconica immagine del giardino coperto di foglie ci rimanda a languide atmosfere francesi di fine Ottocento. Va infine sottolineato come l’approccio intimistico, quasi sacrale, tra l’uomo contemporaneo e Natura che Ceschin sa far emergere nelle sue opere, altro non è che il bisogno che questo uomo ha di ritrovare quella simbiosi con la natura che oggi sembra aver perso.

Dorino Cioffi

Diplomatosi nel 1951, Dorino Cioffi, nel corso della sua carriera artistica, ha partecipato a numerose  mostre collettive e personali in Italia e all’estero. Egli è pittore, incisore e scultore ma è in qualità di scenografo che ha collaborato con importanti enti culturali come la Fenice di Venezia. Cardine della sua arte è la necessità di rappresentare l’emozione generata in lui dall’osservazione, molte volte occasionale, di ciò che lo circonda. Questo “cogliere l’attimo” del vedere non si  concretizza solamente nel dare sfogo alla sua istintività creativa, ma si articola nell’entusiastica indagine che egli compie su un determinato soggetto sino a che quest’ultimo non esaurisce il fascino che su di lui esercita. I variegati cicli pittorici incentrati su un determinato tema e la “costruzione finita”, anche nei più piccoli particolari delle opere, ne palesano la concreta conferma. Ed è altresì chiaro che la modalità artistica che Cioffi persegue lo porta alla continua ricerca delle “cose” sensibili sia della natura sia dell’uomo. Basti osservare la ricorrente insistenza di alcune sue tematiche: la luna, il fiore dell’iris, le finestre o i bicchieri; queste spesso travalicano il dato realistico per sfociare in una dimensione simbolica capace di evocare reconditi sentimenti e ritrosi.

martedì 5 luglio 2011

Laura Ferretti

In un mondo in cui tutto appare governato dalla frenesia, dagli sms, da mass-media assordanti, e dove la cultura diventa a volte sterile provocazione, ha ancora senso parlare degli Etruschi? Sembrerebbe di no! Questo è dovuto al poco tempo, sia fisico e sia intellettivo, e di conseguenza al poco spazio mediatico, che l’uomo dedica allo studio e soprattutto alla comprensione del proprio passato, tanto che se noi chiedessimo alla gente delucidazioni in merito alla storia degli Etruschi, questa in molti casi ci risponderebbe: ”Ah sì...quel popolo che costruiva tumuli”, oppure “Ma sì…. i reperti sono conservati in quel museo...dal nome…ma come si chiamerà?” Proprio per riallacciare i fili di questa memoria, che non va dimenticata, ma anzi attualizzata, e per dar sfogo alla propria emozionalità Laura Ferretti ha deciso compiere un viaggio a ritroso attraverso lo spirito del popolo etrusco. L’artista, aiutata anche dal vivere giorno per giorno immersa nella terra che fu patria di questa antica civiltà italica e dal fascino che questa esercita su di Lei, ha fuso una sapiente ricerca storica alla sua sensibilità artistica, creando così un percorso iconografico e conoscitivo originale dove le antiche vestigia riacquistano vita, per aiutarci a comprendere ed attualizzare con spirito aperto un passato così lontano, ma mai così presente (si osservi ad esempio l’influenza linguistica etrusca sulla lingua italiana) nella nostra contemporaneità. L’opera é una raccolta suddivisa in: Momenti di Vita; Momenti della Morte; Giovani offerenti, Vicino al cielo; Statue Acroteriali; Giochi: l’atmosfera della gara, il movimento concitato degli atleti; Armonia di suoni e movimento; Complice armonia di coppia; Uomini e natura in armonia. Questi elementi ci offrono uno squarcio sulle più importanti tappe della vita culturale, civile ed artistica che la pittrice ha colto, attraverso un’attenta analisi della grande arte etrusca conservata nei musei e soprattutto nelle necropoli, per far emergere l’interiorità e la spiritualità di questo misterioso popolo. Tutti i soggetti dipinti siano essi esseri umani, animali, vegetali, statue, gioielli o suppellettili seguono, all’interno del quadro, un percorso a spirale tracciato sulla base della linea della Sezione Aurea che, oltre a creare un collegamento diretto con la geometria e quindi con la perfezione ideale, suddivide proporzionalmente il dipinto. Tale ripartizione crea così diverse raffigurazioni all’interno del medesimo dipinto, così da far emergere una doppia lettura sia reale sia metafisica che catapulta l’osservatore in una dimensione di diacronismo spazio-temporale. Il calligrafismo e il mimetismo con la realtà, i colori dai toni antichi presenti nelle opere non solo mostrano una sapiente abilità manuale, ma fanno sì che l’immagine acquisti lo status di citazione grafico-storica concreta, la quale nello stesso tempo, grazie all’interpretazione di Laura, diventa attualizzata e moderna. Si può così leggere un legame temporale simultaneo tra contemporaneità e radici proprie dell’artista, e in senso lato dell’umanità collettiva. Il lavoro artistico di Laura Ferretti va perciò salutato positivamente, non soltanto perché inteso come gesto d’amore, ma anche perché ella ritiene, a differenza di tanti artisti d’oggi i quali considerano il passato oramai privo di stimoli, che la storia è sempre capace di affascinare e stimolare l’artista, dandogli così la possibilità di andare oltre il suo contingente. Chiude il catalogo una serie di paesaggi, dai colori accesi e timbrici, fra cui alcune vedute toscane. La pittrice, dopo aver lasciato la dimensione dell’euresi storica, mette a nudo sulla tela le atmosfere più intime che ancora oggi la terra degli Etruschi sa regalare.

Cristina De Franceschi

Le oniriche e fascinose visioni di Cristina De Franceschi sono protese all’ indagine sull’identità della donna e sul ruolo suo nella società contemporanea. Tale analisi non è però diretta: essa si permea di un  forte simbolismo che si svela in modo suadente e mediato. Il soggetto dominante delle sue opere è perciò la figura femminile che, rappresentata con conturbanti sguardi e in suadenti posture, perde la sua concretezza reale per trasformasi in una metafora capace di indurre lo spettatore ad una riflessione meditata si temi cari alla pittrice. Anche l’evanescenza dello spazio, l’indeterminatezza, quasi sfuocata, delle architetture dello sfondo e i melanconici ed atemporali addensamenti atmosferici nei quali è inserita questa allegorica rappresentazione della donna, contribuiscono ad  arricchirne sia l’enigmatica aura sia l’invito alla meditazione. In fine per rendere accattivante questo misterioso viatico, lo fa defluire addolcendolo con un piacevole ed estetico  gioco di contrappunti, prodotto da  sulfurei e, allo stesso tempo,  graffiati, colori che si intersecano e dialogano, quasi per contrasto, con i “barocchismi” della foglia d’oro e ai ricami floreali.                      

lunedì 4 luglio 2011

Gianmaria Potenza

Osservando l’opera di Gianmaria Potenza, non si può che rimanere incuriositi per il suo eclettismo e la sua enorme versatilità artistica. La sua idea di arte è intesa come messaggio che nasce e parte dall’artista, talvolta voluto e talvolta inconscio, per riflettersi su di noi attraverso l’opera d’arte. Quest’ultima diventa perciò depositaria di un racconto narrato attraverso una sorta di criptoscrittura, composta da forme geometriche, cerchi, quadrati, rettangoli, che induce ad interpretare tale messaggio soggettivamente. Questa forma contemporanea di cuneiforme, che sta a cavallo tra l’antico e il futuribile, amplifica maggiormente il mistero delle stesse sculture, che di per sé sono già dei simboli: sfere, colonne cilindriche, obelischi, forme geometriche euclidee, sono tutti solidi che ci richiamano idealmente all’idea di matematica, ovvero alla misura e alla comprensione della natura da parte dell’uomo, concetto presente anche nel leonardesco “Uomo di Vitruvio”. Si percepisce pure una dimensione ieratica senza tempo e senza spazio, equilibrata in ogni sua singola parte, essenziale perché composta da elementi puri, monumentale quasi come un monolito, e infine sacrale. L’estrema cura del dettaglio, i riflessi e le vibrazioni della luce sul bronzo dorato delle sculture in movimento o sui colorati vetri e i mosaici delle sue pittosculture, fanno trasparire la matrice veneziana, se non bizantina, dell’artista, il quale traspira le arie culturali di una città così unica e complessa. Emerge perciò una dimensione totalizzante dell’opera, che si sostanzia di elementi plurimi, ricchi di fascino, in grado di offrire infiniti spunti di contemplazione ed interpretazione. Potenza dunque ama connubiare fantasia e forte senso estetico ad una altrettanto possente dimensione culturale e storica, per creare magiche e fascinose realizzazioni, capaci di travalicare la realtà visiva contingente..

venerdì 1 luglio 2011

Gelindo Crivellaro

Quando si osservano le opere di Crivellaro non si può che rimanere affascinati dalle atmosfere che queste emanano. Perfino l’aria si fa metafisica, trasognata. Essa si insinua nei soggetti, ammantandoli per portarli in una dimensione del ricordo, della melanconia del tempo che sembra non ritornare più. E’ perciò la dimensione della memoria quella che più emerge dal dipinto: l’inesorabilità del tempo che consuma la realtà. Il quadro sembra volerci perciò invitare ad afferrare ciò che abbiamo, anche le cose più minute, e goderle sino in fondo... cogliere l’attimo. L’artista ricerca nei simboli dell’uomo le tracce per il suo operare, liberandosi dagli orpelli stilistici e soprattutto dagli artifici e dagli abbagli della società contemporanea che lo possono fuorviare. Nei suoi dipinti si intravedono costruzioni architettoniche di case o città, sospese tra il cielo e la terra, avvolte da colori opalescenti. Sono immagini metaforiche del passaggio dell’uomo nel tempo, creazioni che acquisiscono significato in quanto preziose testimonianze di ciò che è stato, benchè il loro stesso creatore sembra averle abbandonate e forse dimenticate. Crivellaro sembra perciò vedere nella storia il cardine principale della sua ricerca pittorica. Ciò che gli interessa non sono i grandi eventi ma i piccoli fatti quotidiani e i piccoli emblemi della società, che a volte risultano più densi e importanti di tante rivoluzioni. La ricostruzione del passato quindi viene intesa non solo come rievocazione emotiva, ma anche come invito alla riflessione attiva che possa riuscire a gettare basi per il futuro, dato che anch’esso a sua volta è destinato a divenire memoria.

Franco Batacchi

Franco Batacchi, sebbene sia un artista che vive immerso pienamente nel suo tempo, per il suo modo di concepire e vivere l’Arte si avvicina allo status di un artista d’epoca rinascimentale. Quello era un periodo in cui l’uomo d’arte era prima di ogni altra cosa un uomo di pensiero e di cultura che applicava le sue capacità creative con metodo e regole consolidate, su tutto ciò che coinvolgeva il suo interesse culturale. Una dimensione spirituale quindi, che era ed è, soprattutto ai nostri giorni, indispensabile per il vero artista e sintetizza da Batacchi stesso, che possiede questa predisposizione, come una fusione tra spirito, tecnica e continua ricerca. Di tale dimensione se ne trova conferma gettando anche una sguardo sua biografia: da giovane apprendista impara i segreti e le regole della pittura nella bottega del padre, per poi consolidarsi sia come artista, diviso tra pittura e scultura, sia in qualità di critico affermato con varie pubblicazioni, tra cui una monografia su Tony Benetton, e un volume dal titolo “Comprendere L’arte Contemporanea”. E chiaro perciò che il realismo e la tradizione pittorica del tonalismo veneto degli inizi, lentamente, grazie alle sue poliedriche attitudini, alle sue esperienze internazionali (è professore alla Costantinian University di Cranston nel Rhode Island, U.S.A.) e a una costante euresi, si trasformano in un a nuova e originale concezione che lo vede lontano sia dal vuoto realismo-cartolina, sia dalla mera provocazione contemporanea priva di progettualità. Ha così maturato nel corso della sua carriera, l’idea di una pittura, o meglio di un’arte, che bisogna saper seguire con l’occhio, ma comprendere con la mente in quanto composta da un mondo simbolico pregno di significati da decifrare. E per svelare le verità universali di questo universo che appartengono all’essere umano, l’artista sceglie la donna, che diventa protagonista assoluta, trasformandosi in “Nuova Venere Italica”. La figura femminile viene rappresentata come una eclettica stilizzazione geometrico-lirica, generata da una sintesi tra la scomposizione policletea, fatta di limpida razionalità, da una parte, le grandi dee madri, sculture preistoriche in cui la donna é divinizzata perché procreatrice, dall’altra e infine l’essenzialità del graffitismo contemporaneo. Essa perciò è diventata archetipo, carico di significante, che da sola o in gruppo, é protesa a svelare, e forse a decodificare, le ancestralità, i bisogni più reconditi che da sempre, dalla preistoria alla contemporaneità, percorrono l’essere umano. Batacchi dunque nel corso della sua carriera è arrivato a fondere l’Arte con la Storia, creando un unicum in cui l’opera artistica non solo assume carattere pedagogico, ma diventa nel medesimo tempo ieratica icona il cui valore assoluto resta immutato al mutare della contingenza.

mercoledì 29 giugno 2011

Luigi Bona

Nato a Venezia, l’Artista lavora da anni presso il suo Studio sito a Venezia-Castello, al civico 3467.

“..Applicando direttamente sulla tela o su pannelli oggetti reali per sottolineare la sperimentazione della società di massa…”. Pur senza sapere a quale movimento artistico fanno riferimento queste poche parole estrapolate da un manuale di storia dell’arte, riusciamo tranquillamente a capire che si sta tratta della POPART e della sua caratteristica principale: il dialogo diretto tra Arte e la comune realtà quotidiana. Questa dicotomia può risultare riduttiva o addirittura priva di senso se mancante dell’apporto della sensibilità di un artista. Perciò per comprendere le opere di Luigi Bona, aldilà delle definizioni critiche standard, dobbiamo sempre tener presente che dietro ogni sua realizzazione si cela la sua anima di artista. Allora i telefonini, le cannucce, le posate, le macchine fotografiche, le pellicole e le cravatte, divenendo vere proprie manifestazioni creative. Il loro valore funzionale dunque diventa sociologico, trasformandosi in  testimoni del rapporto che l’uomo ha con la comunicazione, l’immagine e lo stile di vita della massificazione contemporanea.  Ma per Luigi Bona è anche importante sottolineare l’interiorità che egli infonde all’opera, e lo fa attraverso un uso particolare del colore, considerato non è più elemento aggiunto, ma forza sostanziale. Il pigmento dunque  diventa rappresentazione visiva dello stato d’animo che in quel momento l’artista  ha, travalicando gli esiti stessi del significato sociale originario dell’opera. Così ogni singolo filamento, ogni singola macchia sono al medesimo tempo gestualità ed emotività: il nero, se presente,esprime negatività mentre  il rosso, al contrario,  può rivelare passionalità. Nascono così opere non solo impegnate sia sul piano analitico sia su quello emotivo, ma anche, di conseguenza, su quello estetico, come si vede ad esempio nei packages per uova, dove  il tema  della serialità modulare contingente è arricchito dal decorativismo delle paste vitree e dal timbro delle cromie.Dunque il decontestualizzare gli elementi spiccioli comuni dell’umanità, per renderli opere d’arte, per Bona non è cosa semplice, ma un vero atto gestuale, che rivela impegno, serietà morale, nonché una lunga e attenta ricerca, fatta di sperimentalismi, accompagnanti  da consolidate conoscenze tecniche.   Attento osservatore di questa realtà che tanto lo ha spronato, negli ultimi lavori Luigi Bona ha concentrato la sua attenzione su uno degli oggetti  più banali, ma anche più utilizzati tanto da divenire una vera  icona del nostro tempo: la bottiglia di Coca-Cola. E’ chiaro che la scelta non è stata casuale, e non lo è nemmeno l’uso che egli ne fa, visto che la famosa forma di questa bottiglia è sia simbolo di un certo status socio-culurale, sia, pure, stilizzazione essa stessa, in quanto è un chiaro rimando la sua forma al corpo femminile. Basterebbe anche  solo questa stilizzazione per soddisfare la creatività, dell’artista, ma egli va oltre, lungo un preciso cammino da compiere, impostato sulla modifica formale e perciò visiva della bottiglia. Infatti, lentamente queste bottiglie si rompono e colorano per poi trasformarsi in sbalorditive scarpette! E da questo trasformismo, emerge la venezianità di Bona: il vivere a contatto con il grande colorismo veneziano e la sapiente maestria dei maestri vetrai. Così da moderno “calegher”(calzolaio), Bona seduto davanti al forno con la pasta ancora calda, ha dato nuova identità a questa icona del suo tempo, creando una fantasiosa  calzatura vitrea, che sembra essere stata appena persa da una furtiva Cenerentola. Questa opera per il vivace uso dei colori, per la grazia e la leziosità, sembra avvicinarsi ad un intrigante e decorativo arriccio roccocò veneziano. Ma l’apice l’artista lo raggiunge quando trasforma la bottiglia addirittura in un opalescente guanto di cristallo, dall’aggraziato piglio, forse appartenuto ad una magica fata. Con questi ultimi esiti creativi, da intendersi  non come il punto di arrivo di un lungo percorso, ma una tappa della sua creatività, l’artista non solo ha dimostrato di essere rimasto vicino al solco della PopArt, ma anche di saper andare in altre direzioni artistiche. E’ riuscito a creare concettualmente una dimensione visiva che va oltre l’oggettività, per divenire soggetto nuovo ed autonomo. Va infine  sottolineato che Bona nel corso della sua attività ha continuato ad evolversi sia ascoltando gli echi del panorama artistico mondiale, sia però sapendosi allontanare da quella faciloneria asettica che spesso queste correnti hanno declamato, mantenendo sempre viva la propria onestà intellettuale e  rimanendo fedele alla sua concretezza. 

martedì 28 giugno 2011

Vittorio Felisati

Quando ci si trova di fronte alle opere del maestro Vittorio Felisati, basta solo un breve attimo per rimanerne dolcemente sedotti e attratti: tutto è gioia, serenità, contentezza. Egli ha saputo cogliere e     mostrare la tranquillità che si respira quando ci si lascia cullare dalla natura ancora incontaminata. Nelle sue opere il pittore mostra il suo amore per l’elemento  naturale, che si esprime attraverso la fusione di dolci pianure, pendii arrotondati, sinuose anse di fiumi e arbusti con i luminosi colori primaverili; il colore scorrendo copioso, armonioso ed equilibrato su tutta la superficie del dipinto, amplifica questo sentimento da lui provato per l’elemento agreste. Simbolo di questo innamoramento è il paesaggio: esso è inteso come espressione sincera, semplice, colloquiale, in cui  gli orpelli filosofici cedono il passo al piacere bucolico quasi, “arcadiano”, che sembra irradiarsi e traspirare dalla terra stessa. Si badi però che la sua apparente semplicità rivela uno studio intimo molto accurato del soggetto e un tocco attento, fatto di “virgole” veloci, dense e calibrate, che mostrano una mano sapiente, precisa, ma capace sempre di stupire per la continua attenzione dei particolari più minuti sia fisici sia materici. L’assenza di neri e di grigi e la presenza di chiaroscuri pigmentosi, fanno intravedere come il mezzo espressivo sia soltanto il puro ed armonioso colore tonale. Anche la città  con le sue case, i suoi vicoli, i suoi palazzi antichi, è vista con un occhio conviviale, quasi domestico, come traspare soprattutto negli scorci della sua Mestre:  l’artista ci mostra l’affetto che lo lega ad essa, ma allo stesso tempo rivela anche la malinconia di un tempo oramai passato. Per settant’anni il “decano”, che ha conosciuto tutti i movimenti culturali del novecento nella città lagunare, ha perseguito questa strada intimistica: ha saputo allontanarsi dalla velocità e dal malessere collettivo dell’uomo moderno per fermarsi e dipingere.

domenica 26 giugno 2011

Luigi Voltolina

“Figura, contaminazione ed innovazione”. Queste sono le parole con cui il Maestro Luigi Voltolina definisce la sua concezione artistica, sviluppata lungo tutta la sua intensa e coinvolgente attività, la quale è stata anche costellata da positivi riscontri internazionali. Siano lavori di pittura, scultura o grafica, tutti evidenziano questo trinomio, che, a buon diritto, si può definire aulico.
La figura umana, da sempre al centro dell’accademismo, si smaterializza, perde la propria consistenza classica e la propria gravità naturale per trasformarsi in forma essenziale: essa pertanto è espressa da irrequieti graffiti in movimento. Questi segni assurgono a simboli del mondo moderno fatto di caotica frenesia, velocità ed accelerazioni continue, dove l’uomo ci appare come un essenziale incrocio di linee percorso e mosso da una vibrante scarica elettrica. Il pigmento intenso ed accattivante, dai toni accesi e carichi, estremizza questa nuove forme e talvolta travalica il cromatismo, apparendoci come colpi di luce bianca e monocroma.
Ad un primo colpo d’occhio, sembra di vedere fusi insieme elementi futuristici ed espressionistici; in realtà l’artista va oltre: egli coglie le istanze culturali a 360 gradi fondendole con il proprio io, in modo da creare una pittura aperta a molteplici influenze e contaminata da altre manifestazioni artistiche del genere umano (come ad esempio la musica); la tela dunque diventa un ricettacolo di sperimentalismi, idee e influssi culturali di vario genere. Nasce così un’opera lontana dall’ingessato classicismo e dalle tendenze artistiche eclettiche del momento, così da risultare rigenerata, capace di cogliere l’attimo della nostra attualità, e proiettata con slancio vitale anche verso il futuro, in modo tale che l’uomo moderno ci si possa identificare e riconoscere. 
Nella scultura tale euresi e tali percorsi acquistano una tridimensionalità plastica che catapulta nella dinamicità contemporanea l’essere umano, accompagnandolo con elementi propri di questa modernità: ecco apparire figure antropomorfe che camminano velocemente con la loro valigetta ventiquattrore, come fossero veri uomini d’affari visti camminare per le strade di una movimentata New York.
Concludendo, Voltolina usa la sua arte per captare gli impulsi del tempo e dello spazio che lo circondano,in modo da tradurli in una testimonianza storica del mondo odierno, ma riuscendo anche a far intravedere le direttrici principali dell’arte che verrà.

Tullio Bonso

La carriera artistica di Tullio Bonso può davvero, come afferma egli stesso, definirsi come un diario sul quale egli, lungo lo scorrere del tempo, ha scritto le pagine più belle della sua pittura. Tali fogli rappresentano momenti cronologici in cui l’artista ha affrontato e sperimentato determinati aspetti dell’arte che lo hanno particolarmente affascinato. Tra i suoi prodromi troviamo l’Astrattismo, frutto della discussione culturale degli anni sessanta, al quale egli ha partecipato con enfasi creando opere incentrate su figure-forme geometriche "auree" e al contempo essenziali. Nel corso di tali ricerche, la tradizione culturale della scuola tonale veneta è sempre stata presente in lui, tanto che nel suo stile architettonico, ulteriore interpretazione astrattistica, l’artista ha sempre posseduto ed usato intrinsecamente i colori veneti. E appunto il pigmento, lentamente, ha incontrato la figuratività e il naturalismo: si è adagiato su una superficie ruvida e scabra, creando un unicum fatto di virgole e macchie tonali che, giocando con i colpi di luce, originano intense vibrazioni cromatico-emozionali. Così facendo, il soggetto ha travalicato il realismo per diventare etereo attimo visivo, talvolta quasi metafisico, esulando dalla convenzionalità. La sua personalità pacata e riflessiva si è fusa con un equilibrio formale fatto di attento studio tecnico e di rigorosa metrica globale, che contempla anche il particolare: se ad esempio si osservano le sue famose "Rose", si evince come il tutto conduca il soggetto floreale ad una dimensione lirica elevata. Questa poesia e questa interiorità sono sempre appartenute alla sua arte e, anche a distanza di molti anni, ancora traspaiono nei suoi quadri e disegni; egli continua a scrivere col pennello sul suo diario che, ancora oggi, gli consente di leggere il passato per arricchire il presente.

venerdì 24 giugno 2011

Matteo Cattonar

Il giovane artista, dopo aver spaziato nei meandri della ricerca interpretativa, sembra aver trovato il suo archetipo pittorico nella rappresentazione dell’albero, che sembra quasi assumere una dimensione sacrale. Infatti la sua intrinseca essenza di simbolo della natura stessa nonché, al tempo stesso, di tramite primordiale tra il cielo e la terra ne hanno fatto un elemento fondamentale per l’uomo. Infatti esso sin dalla notte dei tempi accompagna la società umana nel suo vivere quotidiano e nei suoi progressi evolutivi. Quindi, non a caso, anche ai giorni nostri l’albero è un soggetto partecipe della contemporaneità e Cattonar ne percepisce la carica simbolica. L’artista per sottolineare questa partecipazione sensibile della natura alla progressione dell’animo umano, crea una sua personale figuratività astratta costruita su uno sperimentalismo pittorico non occasionale ma intellettuale, che si catalizza sulla tela con gli strumenti e i pigmenti di oggi: il soggetto si sostanzia di sgocciolature, filamenti e raggrumi, composti da smalti sintetici e tecniche miste, stagliandosi da sfondi divisi in due parti. Anche in altre opere si sente l’influenza dello sperimentalismo tecnico del pittore e della sua filosofia. Vanno ricordate le sue evanescenti figure femminili che piroettano in sfondi dorati o carichi di colore; oppure le sue città piene di vita vibrante, ma prive della presenza dell’uomo. L’accostamento di tali soggetti tanto pregni di significato non è altro che la testimonianza del connubio che l’artista fa tra natura e scienza, tra astratto e figurativo.

Malvisi

L'opera di Malvisi può essere intesa come una ricerca volta alla comprensione e decodificazione, talvolta con impeto istintivo e irruenza, delle contraddizioni, delle sensazioni e delle emozioni più sensibili dell’uomo; per fare ciò l’artista punta diritto all’essenza delle cose, liberandosi dagli orpelli, dalle schematizzazioni, dall’ipocrisia e dai falsi idoli ingannatori. Egli dunque, come uno sciamano, compie un percorso a ritroso nella storia dell'uomo sino ai suoi primordi quando, nel buio delle grotte traduceva in immagini la realtà che lo circondava eternizzandola e facendola divenire magica. Le stilizzazioni umane e oggettuali di Malvisi, fatte di colori primari puri ed accesi (il rosso, blu, giallo), di rievocazioni delle forme primarie (cerchio, triangolo e quadrato), di segni vibranti e nervosi, di titanici scontri tra masse e corpi (nel marmo), ci raccontano questo suo viaggio e questo suo "sentire". L'immagine pittorica e quella scultorea perciò volgono all’assoluto, al panteistico, divenendo simboli intesi come apertura di senso: l’uomo perde la sua realtà divenendo forma ideale che, come un archetipo, indica la via della vera ragione e della vera interiorità della cose. Questo indagare è talmente coinvolgente e profondo, che tocca anche il parossistico confronto fra gli "estremi": la raffigurazione scultorea di "Gea", simulacro della fertilità terrena, evidenziando l’atavico bisogno di ricerca e di certezze dell’uomo, contrasta idealmente con la tela "Il Tempo", dove tutto si consuma per lo scorrere inesorabile della sabbia nella clessidra, e ci mostra che purtroppo nulla, e perciò neanche l’arte, è perenne.

giovedì 23 giugno 2011

Luigi Marcon

Alla vista delle opere grafiche del maestro Luigi Marcon non si può fare a meno di rimanere ammaliati: tutto è ammantato di una fascinosa e magica atmosfera. Egli ha saputo, con la sua maestria, travalicare il dato fisico del soggetto rappresentato, trasformandolo in una percezione sensoriale che il fruitore capta in modo impalpabile. Questa sua caratteristica gli deriva non solo da un’indiscussa maestria tecnica consolidata nel tempo, ma soprattutto dalla sua peculiarità di infondere alle incisioni un’accattivante aspetto acquerellato. Il segno robusto e deciso dell’acquaforte cede il passo all’acquatinta, tecnica che ben si adatta al suo estro artistico. Infatti Luigi Marcon, traendo ispirazione dal suo essere pittore, tratta la lastra di zinco o di rame come fosse una tela. Neri, grigi e bianchi appaiono accostati come fossero chiazze di pigmento ed il loro amalgamarsi crea sul supporto svariate gamme di armonici effetti tonali dal piglio pittorico. E’ proprio questo suo modo di operare che gli permette sia di esprimere al meglio la sua personalità artistica, intrisa di romanticismo narrativo, sia di travalicare quelli che sono i parametri dell’incisione classica, talvolta un po’ statica, e di arricchirla di nuovi esiti tecnici e spirituali. Il suo approccio alla dimensione naturale, cardine della sua poetica, sottolinea l’aspetto appassionato del suo vedere, e al contempo manifesta dolcezza e tranquillità, come si evince nei suoi paesaggi; essi vanno letti a volo d’uccello, cioè con una visione panoramica globale, per mezzo della quale si riesce a cogliere l’impressione del paesaggio, tralasciando i singoli particolari. L’eclettismo di Luigi Marcon è diretto a stabilire un contatto sensoriale tra uomo e natura, creando un microcosmo da cui tutte le tensioni sociali della vita odierna sono escluse.

Carlo Marconi

Nato a Venezia, fin dagli anni Cinquanta e per oltre un ventennio ha dipinto nel contesto della pittura veneziana tipica, caratterizzata da una gestualità spregiudicata ed immediata. Per la qualità della sua pittura fu citato in alcune pubblicazioni: D. Villani 800 pittori allo specchio; G. Marussi Le Arti; A. Oberti Arte Italiana per il Mondo; P.Rizzi Artisti 74. E’ stato menzionato in centinaia riviste, pubblicazioni d’arte, quotidiani, cataloghi d’arte tra cui: Bolaffi, Commanducci, il Quadrato, Linea Figurativa, Artisti del Veneto. Ha al suo attivo un migliaio di esposizioni, cento personali, premi e riconoscimenti ufficiali, in Italia e all’estero. Nel corso del tempo ha usato tecniche e materiali senza limiti, creando effetti con elementi contrastanti, scaraventando su qualsiasi supporto vernici, cere, sabbie, colle, malte, acrilici, emulsioni fotografiche e qualsiasi materia colorante usando qualsiasi strumento. Ha percorso svariate esperienze quali: il piattismo dell’immagine, l’astratto con l’automatismo gestuale, la frammentazione action-double, la sfocalizzazione degli oggetti in rapporto al campo visivo dell’uomo. Si è interessato alla quotidianità di quest’ultimo, cogliendolo nei più disparati luoghi quali i fast-food o gli incroci e narrandone i temi principali della sua esistenza, come il dolore, la solitudine, l’angoscia, la morte. Ha percorso il surreale, il geometrico, il fantastico, il realismo esistenziale, la nuova figurazione, proiezioni della memoria. I suoi quadri divengono lo strumento per la satira, la metafora, l’ironia, l’allusione, la smitizzazione. Egli mette in risalto le situazioni negative e soverchianti della società contemporanea sfiorando i modi del Dadaismo e della Pop Art.

mercoledì 22 giugno 2011

Achille Costi

Conoscitore attento della grande scultura europea ed americana, si è nutrito alla mensa dei grandi maestri della scultura e della loro arte come Calder, Moore, Brancusi, Arp. Ha colto la loro essenza , per creare un suo pensiero artistico fatto di equilibrio fra l'insegnamento dei grandi e la sua sensibilità, volto ad uno stile personale proteso verso il contemporaneo. Le sue opere sono una felice amalgama di armonia e di grazia: una fusione senza "rotture" tra linee curve e linee verticali che quasi senza fine scorrono per tutta la scultura creano slancio movimento, accentuati dal dolce scivolare la luce sulle superfici lisce e levigate e dal contrasto "armonico" dei volumi. Le forme dunque si librano nello spazio, si sublimano, per liberarsi, liberando nello spazio come una esplosione, la propria carica energetica estraniandosi così dalla contingenza per divenire ideali ed eterne. Tra le sue tante opere marmoree,bronzee, vitree e lignee e i vari soggetti come la "Danza", le "Vele" o "Petali", spicca il legno "Armonia d'ali": due figure alate fra loro contrastanti, una maschile ed una femminile, magicamente senza discontinuità si compenetrano creando, accentuate dal gioco delle loro ali che originano uno strano vortice d'aria, un'unica cosa. Un'unica anima…

Carlo Pecorelli

Prosegue la rassegna di mostre imperniate sul tema “Nuova arte per nuove identità” organizzate dall’Associazione I.R.I.S. per l’anno 2011. In questa seconda tappa del percorso è il maestro Carlo Pecorelli a cimentarsi sul soggetto proposto, con la mostra dal titolo “Attraverso lo specchio”. Egli individua, con occhio attento e realista, come l’incapacità di comunicare tra le persone, la mancanza di accettazione e l’irrispettosità nei confronti dell’altro, la perdita di valori morali quali l’onestà, la serietà e l’impegno siano le cause della deflagrazione dell’identità contemporanea. Per ristabilire tali virtù e far sì che l’uomo possa ricostituire un dialogo sensato con se stesso e con gli altri, Pecorelli afferma la necessarietà di ispirarsi al passato, in particolar modo al Rinascimento. Questa infatti è un’epoca, afferma l’artista, nella quale l’uomo, uscito dal buio del medioevo, si pone al centro del mondo e, consapevole del proprio libero pensiero, della propria potenza e dei propri mezzi, inaugura un periodo di straordinaria fioritura morale, culturale, artistica e letteraria tesa a favorire la liberalità, la concordia e la solidarietà tra tutti gli esseri umani. Le opere dell’artista sono intrise della sua volontà di offrire una riflessione su questi ideali rinascimentali, che, sebbene lontani nel tempo, possono ancora intendersi come concreta possibilità di redenzione per la nostra contemporaneità. I suoi lavori perciò sono il frutto di un’attenta e sapiente fusione tra la sua personale convinzione filosofica e una sottile simbologia da comprendere attentamente, la quale si struttura secondo determinati passaggi sia esecutivi, sia di interpretazione. Tale modalità creativa verte, come primo momento, sulla selezione oculata di riproduzioni di opere pittoriche di maestri del quattro-cinquecento, i cui soggetti sono santi, Madonne in trono o Cristo, che per Pecorelli non rappresentano solo scene curiali ma incarnano simbolicamente in modo pregno gli ideali di rinascita morale, tanto da travalicare la dimensione religiosa e divenire una “sacra” epigonizzazione dell’uomo stesso. Successivamente, egli colloca in modo giustapposto tali immagini, talvolta elaborate da lui stesso, in una architettura d’ispirazione metafisica tratteggiata da linee. Queste danno perciò origine ad uno spazio tridimensionale ideale nel quale si crea un luogo che va oltre il dato reale per divenire dimensione della mente, inducendo così il fruitore all’osservazione dell’immagine, vero fulcro del dipinto. Accanto all'iconografia rinascimentale, il pittore delimita, sempre tramite l’utilizzo di linee, metaforiche porte che hanno il compito di favorire il passaggio tra il passato virtuoso, rappresentato dalle immagini, e il nostro presente precario, identificato con le strutture geometriche. A chiusura del cerchio dell’opera così composta, perviene la stesura del colore impostato su un contrastante monocromatismo, che a volte appare screziato come a rappresentare metaforicamente lo sgretolamento dei valori veri dell’uomo contemporaneo. Talvolta l’opera è arricchita da una piccola mascherina dipinta, dalla duplice funzione: da un lato, impersonifica idealmente lo stato d’animo dell’artista, il quale, da una posizione privilegiata, è partecipe del simbolismo del dipinto, dall’altro, essa favorisce e accentua il traslato scambio tra opera e fruitore. Nasce così una composizione impostata su un estremo equilibrio compositivo e su un calibrato bilanciamento delle parti, che, come negli artisti del Rinascimento, non è solo concreto ed oggettivo, ma, soprattutto, mentale e spirituale, permettendo all’uomo di ristabilire quel dialogo antico e vero con la natura, con le virtù e con i suoi simili. Allo stesso modo, su tali bilanciamenti sono impostate le sue sculture in acciaio corten o microsfere di vetro, le quali si originano dal vagare della linea curva che spesso si arrotonda nella sfera, forma d’equilibrio per eccellenza. Tali linee danno vita a profili astratti, sinuosi e liberi dalla greve plasticità per librarsi libere nell’aria come lo spirito dell’artista.

Paola Volpato

Il filo della storia percorre tutta l’opera di Paola Volpato: emerge un continuo rimando dialettico con la storia dell’arte perdendosi talvolta nella preistoria, talvolta nelle citazioni di grandi artisti d’ogni tempo. E’ chiaro dunque che il sottofondo filosofico è proteso alla ricerca del simbolo, inteso come apertura di senso sul mondo e sulla sua comprensione. Compare anche una dimensione che in certi momenti può sembrare ludica, ma che invece deve essere vista come manifestazione di libertà intellettuale dell’artista, sostanziata da un acceso sperimentalismo tecnico, dalla compenetrazione vari materiali e da riflessioni soggettuali che vanno aldilà della banale rappresentazione. Dunque il suo virtuosismo si esplica in modo appropriato ai fini dell’espressione della sua interiorità e della sua Arte. Le sue “Battaglie” altro non sono che la dimostrazione concreta di come sia possibile concentrare intelletto e arte: le tensioni e le contorsioni fisiche e corporali preludono a quelle ideali e spirituali. Tra moderno e antico fanno da unione le sue “Madonne” in cui l’immagine medioevale, quasi da icona bizantina, si arricchisce di materiali moderni che la proiettano in una dimensione astorica. Interessante è anche la ricerca sulla poetessa Alcott, che la pittrice ha sviluppato nel tempo, stabilendo quasi una simbiosi, tra la biografia spirituale di lei e la sua poesia, e creando così un ciclo di opere volte a comprendere al meglio l’operato della scrittrice. Tutte queste compenetrazioni dimostrano come la dimensione culturale dell’artista sia ampia e sia volta a cogliere e a capire lo scibile umano, e a chiarire che l’arte, intesa come espressione di uno stato lirico, è simulacro di libertà da ogni condizione e costrizione.