giovedì 19 marzo 2015

Luigi Rizzetto

Caro Luigi,
            E' da quel premio jesolano da te vinto, e oramai lontano nel tempo, che ho il piacere di ammirare il tuo excursus artistico e di cogliere, come spesso accade nei nostri dialoghi, la tua gentilezza d'animo e la tua sensibilità. Perciò provo sempre fervido piacere quando ho l'opportunità di argomentare sulla tua pittura, come in occasione della tua conturbante - credo che questo sia l'aggettivo giusto - mostra personale inauguratasi presso la galleria L. Sturzo a Mestre.
            Ammirando le tue opere, ancora una volta, ho colto come tu sia un artista dalla profonda interiorità in quanto cerchi di esprimere i tuoi sentimenti, le tue emozioni e le tue riflessioni più profonde attraverso un dialogo con la circostante realtà. Di essa, però, non ti interessa il dato superficiale, ma quello più nascosto, recondito, insondabile che tu riesci a scovare non nella plurima generalità, ma nel mistero che si cela dietro la singola cosa, cioè l'assoluto. Parola, questa, formata dal composto latino ab + solutus e traducibile in «sciolto da», che tu rivesti di valenze filosofiche ed interpreti come “realtà la cui esistenza non dipende da nessuna altra cosa ma sussiste in sé e per sé” e quindi in grado di trasformare la generica cosa in identificato soggetto, anche questo da te interpretato, letteralmente, come "ciò che sta sotto" alla superficie e perciò pregno di mistero da indagare. E per carpire questo substrato, tu cerchi di stabilire un'empatia, un pathos (in questo caso traducibile come emozione) con questo soggetto percependolo addirittura come una sorta di “noumeno”, in quanto tenti di dipanare il suo arcano, andando “al di là dell’apparenza”. Ed il paradigma soggettuale principale che sostanzia questo legame tra il tuo Io e ciò che ti circonda è l'uomo ed in particolare il suo sguardo. Quest'ultimo è per te un surrogato di enigmi e di recondita essenza delle cose da svelare tanto importante da indurti a considerare come veri e propri esseri umani anche gli elementi inanimati che compongono le tue nature morte, tramutandole, in tal modo, in ideali simboli antropici, evadenti dai rimandi naturali.
            E per iconizzare questo tuo dialogo sensibile, fatto di tentativi di sondare l'insondabile, hai interpretato l'arte come un mezzo espressivo con cui sei riuscito a rappresentare, come affermi,  “almeno pallidamente” questa essenza prima, puntando su una tua personale rielaborazione del realismo. Così facendo si è creata una visione d'insieme tesa a mostrare sia il legame tra te ed il soggetto, posto nel dipinto sempre in primo piano perché evidente allo sguardo, che l'insondabilità  ancora da indagare, incentrata sull'indefinitezza d'atmosfera dello sfondo del quadro. Nel rendere maggiormente evidente questa tua intenzione di cogliere l'algido riflesso dell'essenza, nonché i turbamenti ed il fascino che provi d'innanzi al recondito delle cose, hai permeato le opere anche di un accattivante e funzionale binomio fatto di bellezza pittorica, intrisa di armonia, simmetria, raffinatezza, particolarismo e perfezione, e di silenzio, da cogliersi quale viatico meditativo necessario alla ricerca interiore. 
            I tuoi lavori però non rispecchiano solamente la tua sensibilità, perché, osservandoli attentamente, questi sottolineano anche una raffinata sapienzialità tecnica, impostata su una pittura da studiolo, dove l'olio, disteso lentamente in più fasi, intride ogni singolo dipinto di estrema raffinatezza e calligrafica cura dei particolari. Infatti sei in grado di rappresentare i tuoi soggetti passando con estrema facilità dal disegno, ovvero dal segno che “costruisce capelli e corpi” per farli vibrare con le gradazioni della grana, al “canto del colore” dato dalla pittura, capace di dare materia e corpo al disegno. L'uso del pennello fa poi emergere nei quadri la tua  robusta conoscenza della storia dell'arte, la passione per la tradizione italiana e veneto-lagunare e, soprattutto, il tuo amore per Giovanni Bellini.  Di quest'ultimo ti attraggono la dolcezza d'animo delle figure, la loro plastica, la luce limpida e tersa, i delicati  passaggi tonali che digradano dai morbidi rossi morbidi ai gialli bruciati e sino al verde-oro.
           Continuando ad indagare ancora i lavori, si scopre, grazie al tuo uso esperto della luce che li attraversa in senso diagonale creando triangoli luminosi e luminescenze crepuscolari, come essi siano piccoli mondi composti da piccole cose dalle grandi significanze, le quali, come accade anche nei dipinti belliniani in cui i soggetti sembrano quasi uscire dalla scena per incontrare lo spettatore, si offrono a chi le guarda per fargli palpitare il cuore ancora un solo attimo, un solo istante, prima che siano fagocitate dal buio e perciò incapaci di dialogare ed emozionare.
           Concludendo, vista la tua densità artistica, sono convinto che tu possa considerati un vero poeta e per confermare questa mia tesi, mi sono avvalso della definizione della Treccani.it che alla voce “poeta” riporta: chi ha il gusto e il sentimento del bello, è dotato di fervida fantasia e di particolare sensibilità, tanto da dimenticare facilmente la realtà per l’ideale. A ciò io mi sono permesso di aggiungere “e li dipinge sulla tela per mezzo di matite o pennelli...di piccola misura”.