mercoledì 29 giugno 2011

Luigi Bona

Nato a Venezia, l’Artista lavora da anni presso il suo Studio sito a Venezia-Castello, al civico 3467.

“..Applicando direttamente sulla tela o su pannelli oggetti reali per sottolineare la sperimentazione della società di massa…”. Pur senza sapere a quale movimento artistico fanno riferimento queste poche parole estrapolate da un manuale di storia dell’arte, riusciamo tranquillamente a capire che si sta tratta della POPART e della sua caratteristica principale: il dialogo diretto tra Arte e la comune realtà quotidiana. Questa dicotomia può risultare riduttiva o addirittura priva di senso se mancante dell’apporto della sensibilità di un artista. Perciò per comprendere le opere di Luigi Bona, aldilà delle definizioni critiche standard, dobbiamo sempre tener presente che dietro ogni sua realizzazione si cela la sua anima di artista. Allora i telefonini, le cannucce, le posate, le macchine fotografiche, le pellicole e le cravatte, divenendo vere proprie manifestazioni creative. Il loro valore funzionale dunque diventa sociologico, trasformandosi in  testimoni del rapporto che l’uomo ha con la comunicazione, l’immagine e lo stile di vita della massificazione contemporanea.  Ma per Luigi Bona è anche importante sottolineare l’interiorità che egli infonde all’opera, e lo fa attraverso un uso particolare del colore, considerato non è più elemento aggiunto, ma forza sostanziale. Il pigmento dunque  diventa rappresentazione visiva dello stato d’animo che in quel momento l’artista  ha, travalicando gli esiti stessi del significato sociale originario dell’opera. Così ogni singolo filamento, ogni singola macchia sono al medesimo tempo gestualità ed emotività: il nero, se presente,esprime negatività mentre  il rosso, al contrario,  può rivelare passionalità. Nascono così opere non solo impegnate sia sul piano analitico sia su quello emotivo, ma anche, di conseguenza, su quello estetico, come si vede ad esempio nei packages per uova, dove  il tema  della serialità modulare contingente è arricchito dal decorativismo delle paste vitree e dal timbro delle cromie.Dunque il decontestualizzare gli elementi spiccioli comuni dell’umanità, per renderli opere d’arte, per Bona non è cosa semplice, ma un vero atto gestuale, che rivela impegno, serietà morale, nonché una lunga e attenta ricerca, fatta di sperimentalismi, accompagnanti  da consolidate conoscenze tecniche.   Attento osservatore di questa realtà che tanto lo ha spronato, negli ultimi lavori Luigi Bona ha concentrato la sua attenzione su uno degli oggetti  più banali, ma anche più utilizzati tanto da divenire una vera  icona del nostro tempo: la bottiglia di Coca-Cola. E’ chiaro che la scelta non è stata casuale, e non lo è nemmeno l’uso che egli ne fa, visto che la famosa forma di questa bottiglia è sia simbolo di un certo status socio-culurale, sia, pure, stilizzazione essa stessa, in quanto è un chiaro rimando la sua forma al corpo femminile. Basterebbe anche  solo questa stilizzazione per soddisfare la creatività, dell’artista, ma egli va oltre, lungo un preciso cammino da compiere, impostato sulla modifica formale e perciò visiva della bottiglia. Infatti, lentamente queste bottiglie si rompono e colorano per poi trasformarsi in sbalorditive scarpette! E da questo trasformismo, emerge la venezianità di Bona: il vivere a contatto con il grande colorismo veneziano e la sapiente maestria dei maestri vetrai. Così da moderno “calegher”(calzolaio), Bona seduto davanti al forno con la pasta ancora calda, ha dato nuova identità a questa icona del suo tempo, creando una fantasiosa  calzatura vitrea, che sembra essere stata appena persa da una furtiva Cenerentola. Questa opera per il vivace uso dei colori, per la grazia e la leziosità, sembra avvicinarsi ad un intrigante e decorativo arriccio roccocò veneziano. Ma l’apice l’artista lo raggiunge quando trasforma la bottiglia addirittura in un opalescente guanto di cristallo, dall’aggraziato piglio, forse appartenuto ad una magica fata. Con questi ultimi esiti creativi, da intendersi  non come il punto di arrivo di un lungo percorso, ma una tappa della sua creatività, l’artista non solo ha dimostrato di essere rimasto vicino al solco della PopArt, ma anche di saper andare in altre direzioni artistiche. E’ riuscito a creare concettualmente una dimensione visiva che va oltre l’oggettività, per divenire soggetto nuovo ed autonomo. Va infine  sottolineato che Bona nel corso della sua attività ha continuato ad evolversi sia ascoltando gli echi del panorama artistico mondiale, sia però sapendosi allontanare da quella faciloneria asettica che spesso queste correnti hanno declamato, mantenendo sempre viva la propria onestà intellettuale e  rimanendo fedele alla sua concretezza. 

martedì 28 giugno 2011

Vittorio Felisati

Quando ci si trova di fronte alle opere del maestro Vittorio Felisati, basta solo un breve attimo per rimanerne dolcemente sedotti e attratti: tutto è gioia, serenità, contentezza. Egli ha saputo cogliere e     mostrare la tranquillità che si respira quando ci si lascia cullare dalla natura ancora incontaminata. Nelle sue opere il pittore mostra il suo amore per l’elemento  naturale, che si esprime attraverso la fusione di dolci pianure, pendii arrotondati, sinuose anse di fiumi e arbusti con i luminosi colori primaverili; il colore scorrendo copioso, armonioso ed equilibrato su tutta la superficie del dipinto, amplifica questo sentimento da lui provato per l’elemento agreste. Simbolo di questo innamoramento è il paesaggio: esso è inteso come espressione sincera, semplice, colloquiale, in cui  gli orpelli filosofici cedono il passo al piacere bucolico quasi, “arcadiano”, che sembra irradiarsi e traspirare dalla terra stessa. Si badi però che la sua apparente semplicità rivela uno studio intimo molto accurato del soggetto e un tocco attento, fatto di “virgole” veloci, dense e calibrate, che mostrano una mano sapiente, precisa, ma capace sempre di stupire per la continua attenzione dei particolari più minuti sia fisici sia materici. L’assenza di neri e di grigi e la presenza di chiaroscuri pigmentosi, fanno intravedere come il mezzo espressivo sia soltanto il puro ed armonioso colore tonale. Anche la città  con le sue case, i suoi vicoli, i suoi palazzi antichi, è vista con un occhio conviviale, quasi domestico, come traspare soprattutto negli scorci della sua Mestre:  l’artista ci mostra l’affetto che lo lega ad essa, ma allo stesso tempo rivela anche la malinconia di un tempo oramai passato. Per settant’anni il “decano”, che ha conosciuto tutti i movimenti culturali del novecento nella città lagunare, ha perseguito questa strada intimistica: ha saputo allontanarsi dalla velocità e dal malessere collettivo dell’uomo moderno per fermarsi e dipingere.

domenica 26 giugno 2011

Luigi Voltolina

“Figura, contaminazione ed innovazione”. Queste sono le parole con cui il Maestro Luigi Voltolina definisce la sua concezione artistica, sviluppata lungo tutta la sua intensa e coinvolgente attività, la quale è stata anche costellata da positivi riscontri internazionali. Siano lavori di pittura, scultura o grafica, tutti evidenziano questo trinomio, che, a buon diritto, si può definire aulico.
La figura umana, da sempre al centro dell’accademismo, si smaterializza, perde la propria consistenza classica e la propria gravità naturale per trasformarsi in forma essenziale: essa pertanto è espressa da irrequieti graffiti in movimento. Questi segni assurgono a simboli del mondo moderno fatto di caotica frenesia, velocità ed accelerazioni continue, dove l’uomo ci appare come un essenziale incrocio di linee percorso e mosso da una vibrante scarica elettrica. Il pigmento intenso ed accattivante, dai toni accesi e carichi, estremizza questa nuove forme e talvolta travalica il cromatismo, apparendoci come colpi di luce bianca e monocroma.
Ad un primo colpo d’occhio, sembra di vedere fusi insieme elementi futuristici ed espressionistici; in realtà l’artista va oltre: egli coglie le istanze culturali a 360 gradi fondendole con il proprio io, in modo da creare una pittura aperta a molteplici influenze e contaminata da altre manifestazioni artistiche del genere umano (come ad esempio la musica); la tela dunque diventa un ricettacolo di sperimentalismi, idee e influssi culturali di vario genere. Nasce così un’opera lontana dall’ingessato classicismo e dalle tendenze artistiche eclettiche del momento, così da risultare rigenerata, capace di cogliere l’attimo della nostra attualità, e proiettata con slancio vitale anche verso il futuro, in modo tale che l’uomo moderno ci si possa identificare e riconoscere. 
Nella scultura tale euresi e tali percorsi acquistano una tridimensionalità plastica che catapulta nella dinamicità contemporanea l’essere umano, accompagnandolo con elementi propri di questa modernità: ecco apparire figure antropomorfe che camminano velocemente con la loro valigetta ventiquattrore, come fossero veri uomini d’affari visti camminare per le strade di una movimentata New York.
Concludendo, Voltolina usa la sua arte per captare gli impulsi del tempo e dello spazio che lo circondano,in modo da tradurli in una testimonianza storica del mondo odierno, ma riuscendo anche a far intravedere le direttrici principali dell’arte che verrà.

Tullio Bonso

La carriera artistica di Tullio Bonso può davvero, come afferma egli stesso, definirsi come un diario sul quale egli, lungo lo scorrere del tempo, ha scritto le pagine più belle della sua pittura. Tali fogli rappresentano momenti cronologici in cui l’artista ha affrontato e sperimentato determinati aspetti dell’arte che lo hanno particolarmente affascinato. Tra i suoi prodromi troviamo l’Astrattismo, frutto della discussione culturale degli anni sessanta, al quale egli ha partecipato con enfasi creando opere incentrate su figure-forme geometriche "auree" e al contempo essenziali. Nel corso di tali ricerche, la tradizione culturale della scuola tonale veneta è sempre stata presente in lui, tanto che nel suo stile architettonico, ulteriore interpretazione astrattistica, l’artista ha sempre posseduto ed usato intrinsecamente i colori veneti. E appunto il pigmento, lentamente, ha incontrato la figuratività e il naturalismo: si è adagiato su una superficie ruvida e scabra, creando un unicum fatto di virgole e macchie tonali che, giocando con i colpi di luce, originano intense vibrazioni cromatico-emozionali. Così facendo, il soggetto ha travalicato il realismo per diventare etereo attimo visivo, talvolta quasi metafisico, esulando dalla convenzionalità. La sua personalità pacata e riflessiva si è fusa con un equilibrio formale fatto di attento studio tecnico e di rigorosa metrica globale, che contempla anche il particolare: se ad esempio si osservano le sue famose "Rose", si evince come il tutto conduca il soggetto floreale ad una dimensione lirica elevata. Questa poesia e questa interiorità sono sempre appartenute alla sua arte e, anche a distanza di molti anni, ancora traspaiono nei suoi quadri e disegni; egli continua a scrivere col pennello sul suo diario che, ancora oggi, gli consente di leggere il passato per arricchire il presente.

venerdì 24 giugno 2011

Matteo Cattonar

Il giovane artista, dopo aver spaziato nei meandri della ricerca interpretativa, sembra aver trovato il suo archetipo pittorico nella rappresentazione dell’albero, che sembra quasi assumere una dimensione sacrale. Infatti la sua intrinseca essenza di simbolo della natura stessa nonché, al tempo stesso, di tramite primordiale tra il cielo e la terra ne hanno fatto un elemento fondamentale per l’uomo. Infatti esso sin dalla notte dei tempi accompagna la società umana nel suo vivere quotidiano e nei suoi progressi evolutivi. Quindi, non a caso, anche ai giorni nostri l’albero è un soggetto partecipe della contemporaneità e Cattonar ne percepisce la carica simbolica. L’artista per sottolineare questa partecipazione sensibile della natura alla progressione dell’animo umano, crea una sua personale figuratività astratta costruita su uno sperimentalismo pittorico non occasionale ma intellettuale, che si catalizza sulla tela con gli strumenti e i pigmenti di oggi: il soggetto si sostanzia di sgocciolature, filamenti e raggrumi, composti da smalti sintetici e tecniche miste, stagliandosi da sfondi divisi in due parti. Anche in altre opere si sente l’influenza dello sperimentalismo tecnico del pittore e della sua filosofia. Vanno ricordate le sue evanescenti figure femminili che piroettano in sfondi dorati o carichi di colore; oppure le sue città piene di vita vibrante, ma prive della presenza dell’uomo. L’accostamento di tali soggetti tanto pregni di significato non è altro che la testimonianza del connubio che l’artista fa tra natura e scienza, tra astratto e figurativo.

Malvisi

L'opera di Malvisi può essere intesa come una ricerca volta alla comprensione e decodificazione, talvolta con impeto istintivo e irruenza, delle contraddizioni, delle sensazioni e delle emozioni più sensibili dell’uomo; per fare ciò l’artista punta diritto all’essenza delle cose, liberandosi dagli orpelli, dalle schematizzazioni, dall’ipocrisia e dai falsi idoli ingannatori. Egli dunque, come uno sciamano, compie un percorso a ritroso nella storia dell'uomo sino ai suoi primordi quando, nel buio delle grotte traduceva in immagini la realtà che lo circondava eternizzandola e facendola divenire magica. Le stilizzazioni umane e oggettuali di Malvisi, fatte di colori primari puri ed accesi (il rosso, blu, giallo), di rievocazioni delle forme primarie (cerchio, triangolo e quadrato), di segni vibranti e nervosi, di titanici scontri tra masse e corpi (nel marmo), ci raccontano questo suo viaggio e questo suo "sentire". L'immagine pittorica e quella scultorea perciò volgono all’assoluto, al panteistico, divenendo simboli intesi come apertura di senso: l’uomo perde la sua realtà divenendo forma ideale che, come un archetipo, indica la via della vera ragione e della vera interiorità della cose. Questo indagare è talmente coinvolgente e profondo, che tocca anche il parossistico confronto fra gli "estremi": la raffigurazione scultorea di "Gea", simulacro della fertilità terrena, evidenziando l’atavico bisogno di ricerca e di certezze dell’uomo, contrasta idealmente con la tela "Il Tempo", dove tutto si consuma per lo scorrere inesorabile della sabbia nella clessidra, e ci mostra che purtroppo nulla, e perciò neanche l’arte, è perenne.

giovedì 23 giugno 2011

Luigi Marcon

Alla vista delle opere grafiche del maestro Luigi Marcon non si può fare a meno di rimanere ammaliati: tutto è ammantato di una fascinosa e magica atmosfera. Egli ha saputo, con la sua maestria, travalicare il dato fisico del soggetto rappresentato, trasformandolo in una percezione sensoriale che il fruitore capta in modo impalpabile. Questa sua caratteristica gli deriva non solo da un’indiscussa maestria tecnica consolidata nel tempo, ma soprattutto dalla sua peculiarità di infondere alle incisioni un’accattivante aspetto acquerellato. Il segno robusto e deciso dell’acquaforte cede il passo all’acquatinta, tecnica che ben si adatta al suo estro artistico. Infatti Luigi Marcon, traendo ispirazione dal suo essere pittore, tratta la lastra di zinco o di rame come fosse una tela. Neri, grigi e bianchi appaiono accostati come fossero chiazze di pigmento ed il loro amalgamarsi crea sul supporto svariate gamme di armonici effetti tonali dal piglio pittorico. E’ proprio questo suo modo di operare che gli permette sia di esprimere al meglio la sua personalità artistica, intrisa di romanticismo narrativo, sia di travalicare quelli che sono i parametri dell’incisione classica, talvolta un po’ statica, e di arricchirla di nuovi esiti tecnici e spirituali. Il suo approccio alla dimensione naturale, cardine della sua poetica, sottolinea l’aspetto appassionato del suo vedere, e al contempo manifesta dolcezza e tranquillità, come si evince nei suoi paesaggi; essi vanno letti a volo d’uccello, cioè con una visione panoramica globale, per mezzo della quale si riesce a cogliere l’impressione del paesaggio, tralasciando i singoli particolari. L’eclettismo di Luigi Marcon è diretto a stabilire un contatto sensoriale tra uomo e natura, creando un microcosmo da cui tutte le tensioni sociali della vita odierna sono escluse.

Carlo Marconi

Nato a Venezia, fin dagli anni Cinquanta e per oltre un ventennio ha dipinto nel contesto della pittura veneziana tipica, caratterizzata da una gestualità spregiudicata ed immediata. Per la qualità della sua pittura fu citato in alcune pubblicazioni: D. Villani 800 pittori allo specchio; G. Marussi Le Arti; A. Oberti Arte Italiana per il Mondo; P.Rizzi Artisti 74. E’ stato menzionato in centinaia riviste, pubblicazioni d’arte, quotidiani, cataloghi d’arte tra cui: Bolaffi, Commanducci, il Quadrato, Linea Figurativa, Artisti del Veneto. Ha al suo attivo un migliaio di esposizioni, cento personali, premi e riconoscimenti ufficiali, in Italia e all’estero. Nel corso del tempo ha usato tecniche e materiali senza limiti, creando effetti con elementi contrastanti, scaraventando su qualsiasi supporto vernici, cere, sabbie, colle, malte, acrilici, emulsioni fotografiche e qualsiasi materia colorante usando qualsiasi strumento. Ha percorso svariate esperienze quali: il piattismo dell’immagine, l’astratto con l’automatismo gestuale, la frammentazione action-double, la sfocalizzazione degli oggetti in rapporto al campo visivo dell’uomo. Si è interessato alla quotidianità di quest’ultimo, cogliendolo nei più disparati luoghi quali i fast-food o gli incroci e narrandone i temi principali della sua esistenza, come il dolore, la solitudine, l’angoscia, la morte. Ha percorso il surreale, il geometrico, il fantastico, il realismo esistenziale, la nuova figurazione, proiezioni della memoria. I suoi quadri divengono lo strumento per la satira, la metafora, l’ironia, l’allusione, la smitizzazione. Egli mette in risalto le situazioni negative e soverchianti della società contemporanea sfiorando i modi del Dadaismo e della Pop Art.

mercoledì 22 giugno 2011

Achille Costi

Conoscitore attento della grande scultura europea ed americana, si è nutrito alla mensa dei grandi maestri della scultura e della loro arte come Calder, Moore, Brancusi, Arp. Ha colto la loro essenza , per creare un suo pensiero artistico fatto di equilibrio fra l'insegnamento dei grandi e la sua sensibilità, volto ad uno stile personale proteso verso il contemporaneo. Le sue opere sono una felice amalgama di armonia e di grazia: una fusione senza "rotture" tra linee curve e linee verticali che quasi senza fine scorrono per tutta la scultura creano slancio movimento, accentuati dal dolce scivolare la luce sulle superfici lisce e levigate e dal contrasto "armonico" dei volumi. Le forme dunque si librano nello spazio, si sublimano, per liberarsi, liberando nello spazio come una esplosione, la propria carica energetica estraniandosi così dalla contingenza per divenire ideali ed eterne. Tra le sue tante opere marmoree,bronzee, vitree e lignee e i vari soggetti come la "Danza", le "Vele" o "Petali", spicca il legno "Armonia d'ali": due figure alate fra loro contrastanti, una maschile ed una femminile, magicamente senza discontinuità si compenetrano creando, accentuate dal gioco delle loro ali che originano uno strano vortice d'aria, un'unica cosa. Un'unica anima…

Carlo Pecorelli

Prosegue la rassegna di mostre imperniate sul tema “Nuova arte per nuove identità” organizzate dall’Associazione I.R.I.S. per l’anno 2011. In questa seconda tappa del percorso è il maestro Carlo Pecorelli a cimentarsi sul soggetto proposto, con la mostra dal titolo “Attraverso lo specchio”. Egli individua, con occhio attento e realista, come l’incapacità di comunicare tra le persone, la mancanza di accettazione e l’irrispettosità nei confronti dell’altro, la perdita di valori morali quali l’onestà, la serietà e l’impegno siano le cause della deflagrazione dell’identità contemporanea. Per ristabilire tali virtù e far sì che l’uomo possa ricostituire un dialogo sensato con se stesso e con gli altri, Pecorelli afferma la necessarietà di ispirarsi al passato, in particolar modo al Rinascimento. Questa infatti è un’epoca, afferma l’artista, nella quale l’uomo, uscito dal buio del medioevo, si pone al centro del mondo e, consapevole del proprio libero pensiero, della propria potenza e dei propri mezzi, inaugura un periodo di straordinaria fioritura morale, culturale, artistica e letteraria tesa a favorire la liberalità, la concordia e la solidarietà tra tutti gli esseri umani. Le opere dell’artista sono intrise della sua volontà di offrire una riflessione su questi ideali rinascimentali, che, sebbene lontani nel tempo, possono ancora intendersi come concreta possibilità di redenzione per la nostra contemporaneità. I suoi lavori perciò sono il frutto di un’attenta e sapiente fusione tra la sua personale convinzione filosofica e una sottile simbologia da comprendere attentamente, la quale si struttura secondo determinati passaggi sia esecutivi, sia di interpretazione. Tale modalità creativa verte, come primo momento, sulla selezione oculata di riproduzioni di opere pittoriche di maestri del quattro-cinquecento, i cui soggetti sono santi, Madonne in trono o Cristo, che per Pecorelli non rappresentano solo scene curiali ma incarnano simbolicamente in modo pregno gli ideali di rinascita morale, tanto da travalicare la dimensione religiosa e divenire una “sacra” epigonizzazione dell’uomo stesso. Successivamente, egli colloca in modo giustapposto tali immagini, talvolta elaborate da lui stesso, in una architettura d’ispirazione metafisica tratteggiata da linee. Queste danno perciò origine ad uno spazio tridimensionale ideale nel quale si crea un luogo che va oltre il dato reale per divenire dimensione della mente, inducendo così il fruitore all’osservazione dell’immagine, vero fulcro del dipinto. Accanto all'iconografia rinascimentale, il pittore delimita, sempre tramite l’utilizzo di linee, metaforiche porte che hanno il compito di favorire il passaggio tra il passato virtuoso, rappresentato dalle immagini, e il nostro presente precario, identificato con le strutture geometriche. A chiusura del cerchio dell’opera così composta, perviene la stesura del colore impostato su un contrastante monocromatismo, che a volte appare screziato come a rappresentare metaforicamente lo sgretolamento dei valori veri dell’uomo contemporaneo. Talvolta l’opera è arricchita da una piccola mascherina dipinta, dalla duplice funzione: da un lato, impersonifica idealmente lo stato d’animo dell’artista, il quale, da una posizione privilegiata, è partecipe del simbolismo del dipinto, dall’altro, essa favorisce e accentua il traslato scambio tra opera e fruitore. Nasce così una composizione impostata su un estremo equilibrio compositivo e su un calibrato bilanciamento delle parti, che, come negli artisti del Rinascimento, non è solo concreto ed oggettivo, ma, soprattutto, mentale e spirituale, permettendo all’uomo di ristabilire quel dialogo antico e vero con la natura, con le virtù e con i suoi simili. Allo stesso modo, su tali bilanciamenti sono impostate le sue sculture in acciaio corten o microsfere di vetro, le quali si originano dal vagare della linea curva che spesso si arrotonda nella sfera, forma d’equilibrio per eccellenza. Tali linee danno vita a profili astratti, sinuosi e liberi dalla greve plasticità per librarsi libere nell’aria come lo spirito dell’artista.

Paola Volpato

Il filo della storia percorre tutta l’opera di Paola Volpato: emerge un continuo rimando dialettico con la storia dell’arte perdendosi talvolta nella preistoria, talvolta nelle citazioni di grandi artisti d’ogni tempo. E’ chiaro dunque che il sottofondo filosofico è proteso alla ricerca del simbolo, inteso come apertura di senso sul mondo e sulla sua comprensione. Compare anche una dimensione che in certi momenti può sembrare ludica, ma che invece deve essere vista come manifestazione di libertà intellettuale dell’artista, sostanziata da un acceso sperimentalismo tecnico, dalla compenetrazione vari materiali e da riflessioni soggettuali che vanno aldilà della banale rappresentazione. Dunque il suo virtuosismo si esplica in modo appropriato ai fini dell’espressione della sua interiorità e della sua Arte. Le sue “Battaglie” altro non sono che la dimostrazione concreta di come sia possibile concentrare intelletto e arte: le tensioni e le contorsioni fisiche e corporali preludono a quelle ideali e spirituali. Tra moderno e antico fanno da unione le sue “Madonne” in cui l’immagine medioevale, quasi da icona bizantina, si arricchisce di materiali moderni che la proiettano in una dimensione astorica. Interessante è anche la ricerca sulla poetessa Alcott, che la pittrice ha sviluppato nel tempo, stabilendo quasi una simbiosi, tra la biografia spirituale di lei e la sua poesia, e creando così un ciclo di opere volte a comprendere al meglio l’operato della scrittrice. Tutte queste compenetrazioni dimostrano come la dimensione culturale dell’artista sia ampia e sia volta a cogliere e a capire lo scibile umano, e a chiarire che l’arte, intesa come espressione di uno stato lirico, è simulacro di libertà da ogni condizione e costrizione.