giovedì 7 luglio 2011

Maurizio Perozzi

Pittore e scultore, Perozzi ha fatto dell’analisi della società contemporanea il cardine essenziale della sua filosofia artistica. L’arte diventa un tramite per l’esplicazione analitica, che talvolta sfocia nella denuncia, delle incongruenze morali tipiche della nostra contemporaneità. Ecco quindi che emergono tematiche quali il consumismo, l’inquinamento, la mancanza di valori, che trasformano le opere di Perozzi in testimonianze della realtà contemporanea, costringendo alla riflessione il pubblico che osserva ed allo stesso tempo allontanandosi dalla rappresentazione estetica fine a se stessa. Parlando delle sue sculture, vediamo come grandi colature a forma di blocchi, fatte di plastica ma simili al bronzo, manifestano il malessere della nostrà società la quale ha eletto a bene supremo proprio la plastica, senza tenere conto dei danni che ne conseguono al suo uso. Le sue plastiche sono perciò grovigli materici e reali che denunciano le schizofrenie dell’uomo di oggi. Nella pittura, l’artista esprime questi stessi concetti attraverso l’uso di altre tecniche e di altri materiali: la foglia d’oro, caratteri di scrittura, ritagli di giornale e concrezioni di oggetti; il sovrapporsi di tutte queste esecuzioni artistiche crea singolari pittosculture, che manifestano la sua accusa, e talvolta la sua rabbia, per le storture del mondo odierno che, inerme ed incosciente, sembra dirigersi verso l’autodistruzione. È già a partire dal titolo che lo spettatore viene guidato nella lettura delle opere di Perozzi, addentrandosi all’interno ed indagando il dipinto per trarre le debite considerazioni, come si evince in “Omaggio della Biennale” in cui emerge il tema del consumismo deviato.

Livio Ceschin

“Io incido quello che mi suggerisce la natura”. Solo da questa frase si può comprendere quale sia il viatico che fa muovere tutta l’opera artistica di Livio Ceschin. L’elemento naturale é infatti posto al centro e diventa fonte di emozioni e di sensazioni che l’artista, con il suo bulino tenta di cogliere e bloccare sulla lastra. Egli stabilisce quasi un rapporto di osmosi tra se stesso e la natura, mettendo in evidenza tanto il minimo particolare, come una singola foglia, quanto la grande impianto paesaggistico. E’ chiaro che l’artista deve essere capace di porsi in ascolto per cogliere i messaggi che la natura emana e lo fa con religioso silenzio, sgombrando la mente dal superfluo, ed estraniandosi dal frastuono contemporaneo. E’ proprio così che Ceschin riesce a far immergere il fruitore nel sua visione a tal punto, da fargli realmente sentire il rumore dei passi di un camoscio guardando le impronte che l’animale ha appena lasciato sulla neve candida, oppure il lento scorrere di un corso d’ acqua, o il fragoroso ondeggiare delle fronde degli alberi. Ma questa particolare sensibilità da sola non è sufficiente a “toccare il profondo degli altri”, come giustamente afferma Ceschin. Infatti oltre allo spirito creativo per lui è necessaria la conoscenza di una grammatica tecnica tale da permettere all’artista di possedere un mezzo espressivo, che consolidato nel corso del tempo, sia capace di evidenziare al meglio da una parte li significato e dall’altra il significante di un’opera. Tuttavia questo non basta ancora: per Ceschin è indispensabile anche l’acquisizione di una solida coscienza artistica, che inizia dalla conoscenza della grande tradizione grafica veneziana, i cui primordi risalgono già al Mantegna, fino a consolidarsi nello studio della Storia dell’Arte, della letteratura, della musica, del teatro, del cinema, in modo tale che l’artista abbia così la capacità di focalizzare la propria attenzione su argomenti o autori che siano in grado di arricchirgli lo spirito e rendere più pregne le proprie creazioni. Livio Ceschin punta perciò alla compenetrazione tra l’io creativo e un grande bagaglio culturale, libero sia nello spazio sia nel tempo, in modo tale da far scaturire una solida e continua ricerca sulla natura, liberandosi così dalla sterile improvvisazione attuale o dallo statico manierismo che talvolta capita di vedere. Guardando le sue incisioni, giocate tra la punta secca e l’acqua forte, si scorge come il suo, quasi esasperato, ortografismo esecutivo sia in grado di dare voce all’atmosfera che traspira dalla rappresentazione, tanto da trasformare la prosa visiva in intima poesia, fatta di calma, serenità, dolcezza e quotidianità. Talvolta questi versi incisi si arricchiscono di citazioni calligrafiche vere e proprie, che accentuano il senso dell’inesorabilità del tempo, come si nota in “Luoghi della memoria”, oppure talvolta sembrano traspirare dall’opera stessa come accade in “Angoli dimenticati” dove la melanconica immagine del giardino coperto di foglie ci rimanda a languide atmosfere francesi di fine Ottocento. Va infine sottolineato come l’approccio intimistico, quasi sacrale, tra l’uomo contemporaneo e Natura che Ceschin sa far emergere nelle sue opere, altro non è che il bisogno che questo uomo ha di ritrovare quella simbiosi con la natura che oggi sembra aver perso.

Dorino Cioffi

Diplomatosi nel 1951, Dorino Cioffi, nel corso della sua carriera artistica, ha partecipato a numerose  mostre collettive e personali in Italia e all’estero. Egli è pittore, incisore e scultore ma è in qualità di scenografo che ha collaborato con importanti enti culturali come la Fenice di Venezia. Cardine della sua arte è la necessità di rappresentare l’emozione generata in lui dall’osservazione, molte volte occasionale, di ciò che lo circonda. Questo “cogliere l’attimo” del vedere non si  concretizza solamente nel dare sfogo alla sua istintività creativa, ma si articola nell’entusiastica indagine che egli compie su un determinato soggetto sino a che quest’ultimo non esaurisce il fascino che su di lui esercita. I variegati cicli pittorici incentrati su un determinato tema e la “costruzione finita”, anche nei più piccoli particolari delle opere, ne palesano la concreta conferma. Ed è altresì chiaro che la modalità artistica che Cioffi persegue lo porta alla continua ricerca delle “cose” sensibili sia della natura sia dell’uomo. Basti osservare la ricorrente insistenza di alcune sue tematiche: la luna, il fiore dell’iris, le finestre o i bicchieri; queste spesso travalicano il dato realistico per sfociare in una dimensione simbolica capace di evocare reconditi sentimenti e ritrosi.

martedì 5 luglio 2011

Laura Ferretti

In un mondo in cui tutto appare governato dalla frenesia, dagli sms, da mass-media assordanti, e dove la cultura diventa a volte sterile provocazione, ha ancora senso parlare degli Etruschi? Sembrerebbe di no! Questo è dovuto al poco tempo, sia fisico e sia intellettivo, e di conseguenza al poco spazio mediatico, che l’uomo dedica allo studio e soprattutto alla comprensione del proprio passato, tanto che se noi chiedessimo alla gente delucidazioni in merito alla storia degli Etruschi, questa in molti casi ci risponderebbe: ”Ah sì...quel popolo che costruiva tumuli”, oppure “Ma sì…. i reperti sono conservati in quel museo...dal nome…ma come si chiamerà?” Proprio per riallacciare i fili di questa memoria, che non va dimenticata, ma anzi attualizzata, e per dar sfogo alla propria emozionalità Laura Ferretti ha deciso compiere un viaggio a ritroso attraverso lo spirito del popolo etrusco. L’artista, aiutata anche dal vivere giorno per giorno immersa nella terra che fu patria di questa antica civiltà italica e dal fascino che questa esercita su di Lei, ha fuso una sapiente ricerca storica alla sua sensibilità artistica, creando così un percorso iconografico e conoscitivo originale dove le antiche vestigia riacquistano vita, per aiutarci a comprendere ed attualizzare con spirito aperto un passato così lontano, ma mai così presente (si osservi ad esempio l’influenza linguistica etrusca sulla lingua italiana) nella nostra contemporaneità. L’opera é una raccolta suddivisa in: Momenti di Vita; Momenti della Morte; Giovani offerenti, Vicino al cielo; Statue Acroteriali; Giochi: l’atmosfera della gara, il movimento concitato degli atleti; Armonia di suoni e movimento; Complice armonia di coppia; Uomini e natura in armonia. Questi elementi ci offrono uno squarcio sulle più importanti tappe della vita culturale, civile ed artistica che la pittrice ha colto, attraverso un’attenta analisi della grande arte etrusca conservata nei musei e soprattutto nelle necropoli, per far emergere l’interiorità e la spiritualità di questo misterioso popolo. Tutti i soggetti dipinti siano essi esseri umani, animali, vegetali, statue, gioielli o suppellettili seguono, all’interno del quadro, un percorso a spirale tracciato sulla base della linea della Sezione Aurea che, oltre a creare un collegamento diretto con la geometria e quindi con la perfezione ideale, suddivide proporzionalmente il dipinto. Tale ripartizione crea così diverse raffigurazioni all’interno del medesimo dipinto, così da far emergere una doppia lettura sia reale sia metafisica che catapulta l’osservatore in una dimensione di diacronismo spazio-temporale. Il calligrafismo e il mimetismo con la realtà, i colori dai toni antichi presenti nelle opere non solo mostrano una sapiente abilità manuale, ma fanno sì che l’immagine acquisti lo status di citazione grafico-storica concreta, la quale nello stesso tempo, grazie all’interpretazione di Laura, diventa attualizzata e moderna. Si può così leggere un legame temporale simultaneo tra contemporaneità e radici proprie dell’artista, e in senso lato dell’umanità collettiva. Il lavoro artistico di Laura Ferretti va perciò salutato positivamente, non soltanto perché inteso come gesto d’amore, ma anche perché ella ritiene, a differenza di tanti artisti d’oggi i quali considerano il passato oramai privo di stimoli, che la storia è sempre capace di affascinare e stimolare l’artista, dandogli così la possibilità di andare oltre il suo contingente. Chiude il catalogo una serie di paesaggi, dai colori accesi e timbrici, fra cui alcune vedute toscane. La pittrice, dopo aver lasciato la dimensione dell’euresi storica, mette a nudo sulla tela le atmosfere più intime che ancora oggi la terra degli Etruschi sa regalare.

Cristina De Franceschi

Le oniriche e fascinose visioni di Cristina De Franceschi sono protese all’ indagine sull’identità della donna e sul ruolo suo nella società contemporanea. Tale analisi non è però diretta: essa si permea di un  forte simbolismo che si svela in modo suadente e mediato. Il soggetto dominante delle sue opere è perciò la figura femminile che, rappresentata con conturbanti sguardi e in suadenti posture, perde la sua concretezza reale per trasformasi in una metafora capace di indurre lo spettatore ad una riflessione meditata si temi cari alla pittrice. Anche l’evanescenza dello spazio, l’indeterminatezza, quasi sfuocata, delle architetture dello sfondo e i melanconici ed atemporali addensamenti atmosferici nei quali è inserita questa allegorica rappresentazione della donna, contribuiscono ad  arricchirne sia l’enigmatica aura sia l’invito alla meditazione. In fine per rendere accattivante questo misterioso viatico, lo fa defluire addolcendolo con un piacevole ed estetico  gioco di contrappunti, prodotto da  sulfurei e, allo stesso tempo,  graffiati, colori che si intersecano e dialogano, quasi per contrasto, con i “barocchismi” della foglia d’oro e ai ricami floreali.                      

lunedì 4 luglio 2011

Gianmaria Potenza

Osservando l’opera di Gianmaria Potenza, non si può che rimanere incuriositi per il suo eclettismo e la sua enorme versatilità artistica. La sua idea di arte è intesa come messaggio che nasce e parte dall’artista, talvolta voluto e talvolta inconscio, per riflettersi su di noi attraverso l’opera d’arte. Quest’ultima diventa perciò depositaria di un racconto narrato attraverso una sorta di criptoscrittura, composta da forme geometriche, cerchi, quadrati, rettangoli, che induce ad interpretare tale messaggio soggettivamente. Questa forma contemporanea di cuneiforme, che sta a cavallo tra l’antico e il futuribile, amplifica maggiormente il mistero delle stesse sculture, che di per sé sono già dei simboli: sfere, colonne cilindriche, obelischi, forme geometriche euclidee, sono tutti solidi che ci richiamano idealmente all’idea di matematica, ovvero alla misura e alla comprensione della natura da parte dell’uomo, concetto presente anche nel leonardesco “Uomo di Vitruvio”. Si percepisce pure una dimensione ieratica senza tempo e senza spazio, equilibrata in ogni sua singola parte, essenziale perché composta da elementi puri, monumentale quasi come un monolito, e infine sacrale. L’estrema cura del dettaglio, i riflessi e le vibrazioni della luce sul bronzo dorato delle sculture in movimento o sui colorati vetri e i mosaici delle sue pittosculture, fanno trasparire la matrice veneziana, se non bizantina, dell’artista, il quale traspira le arie culturali di una città così unica e complessa. Emerge perciò una dimensione totalizzante dell’opera, che si sostanzia di elementi plurimi, ricchi di fascino, in grado di offrire infiniti spunti di contemplazione ed interpretazione. Potenza dunque ama connubiare fantasia e forte senso estetico ad una altrettanto possente dimensione culturale e storica, per creare magiche e fascinose realizzazioni, capaci di travalicare la realtà visiva contingente..

venerdì 1 luglio 2011

Gelindo Crivellaro

Quando si osservano le opere di Crivellaro non si può che rimanere affascinati dalle atmosfere che queste emanano. Perfino l’aria si fa metafisica, trasognata. Essa si insinua nei soggetti, ammantandoli per portarli in una dimensione del ricordo, della melanconia del tempo che sembra non ritornare più. E’ perciò la dimensione della memoria quella che più emerge dal dipinto: l’inesorabilità del tempo che consuma la realtà. Il quadro sembra volerci perciò invitare ad afferrare ciò che abbiamo, anche le cose più minute, e goderle sino in fondo... cogliere l’attimo. L’artista ricerca nei simboli dell’uomo le tracce per il suo operare, liberandosi dagli orpelli stilistici e soprattutto dagli artifici e dagli abbagli della società contemporanea che lo possono fuorviare. Nei suoi dipinti si intravedono costruzioni architettoniche di case o città, sospese tra il cielo e la terra, avvolte da colori opalescenti. Sono immagini metaforiche del passaggio dell’uomo nel tempo, creazioni che acquisiscono significato in quanto preziose testimonianze di ciò che è stato, benchè il loro stesso creatore sembra averle abbandonate e forse dimenticate. Crivellaro sembra perciò vedere nella storia il cardine principale della sua ricerca pittorica. Ciò che gli interessa non sono i grandi eventi ma i piccoli fatti quotidiani e i piccoli emblemi della società, che a volte risultano più densi e importanti di tante rivoluzioni. La ricostruzione del passato quindi viene intesa non solo come rievocazione emotiva, ma anche come invito alla riflessione attiva che possa riuscire a gettare basi per il futuro, dato che anch’esso a sua volta è destinato a divenire memoria.

Franco Batacchi

Franco Batacchi, sebbene sia un artista che vive immerso pienamente nel suo tempo, per il suo modo di concepire e vivere l’Arte si avvicina allo status di un artista d’epoca rinascimentale. Quello era un periodo in cui l’uomo d’arte era prima di ogni altra cosa un uomo di pensiero e di cultura che applicava le sue capacità creative con metodo e regole consolidate, su tutto ciò che coinvolgeva il suo interesse culturale. Una dimensione spirituale quindi, che era ed è, soprattutto ai nostri giorni, indispensabile per il vero artista e sintetizza da Batacchi stesso, che possiede questa predisposizione, come una fusione tra spirito, tecnica e continua ricerca. Di tale dimensione se ne trova conferma gettando anche una sguardo sua biografia: da giovane apprendista impara i segreti e le regole della pittura nella bottega del padre, per poi consolidarsi sia come artista, diviso tra pittura e scultura, sia in qualità di critico affermato con varie pubblicazioni, tra cui una monografia su Tony Benetton, e un volume dal titolo “Comprendere L’arte Contemporanea”. E chiaro perciò che il realismo e la tradizione pittorica del tonalismo veneto degli inizi, lentamente, grazie alle sue poliedriche attitudini, alle sue esperienze internazionali (è professore alla Costantinian University di Cranston nel Rhode Island, U.S.A.) e a una costante euresi, si trasformano in un a nuova e originale concezione che lo vede lontano sia dal vuoto realismo-cartolina, sia dalla mera provocazione contemporanea priva di progettualità. Ha così maturato nel corso della sua carriera, l’idea di una pittura, o meglio di un’arte, che bisogna saper seguire con l’occhio, ma comprendere con la mente in quanto composta da un mondo simbolico pregno di significati da decifrare. E per svelare le verità universali di questo universo che appartengono all’essere umano, l’artista sceglie la donna, che diventa protagonista assoluta, trasformandosi in “Nuova Venere Italica”. La figura femminile viene rappresentata come una eclettica stilizzazione geometrico-lirica, generata da una sintesi tra la scomposizione policletea, fatta di limpida razionalità, da una parte, le grandi dee madri, sculture preistoriche in cui la donna é divinizzata perché procreatrice, dall’altra e infine l’essenzialità del graffitismo contemporaneo. Essa perciò è diventata archetipo, carico di significante, che da sola o in gruppo, é protesa a svelare, e forse a decodificare, le ancestralità, i bisogni più reconditi che da sempre, dalla preistoria alla contemporaneità, percorrono l’essere umano. Batacchi dunque nel corso della sua carriera è arrivato a fondere l’Arte con la Storia, creando un unicum in cui l’opera artistica non solo assume carattere pedagogico, ma diventa nel medesimo tempo ieratica icona il cui valore assoluto resta immutato al mutare della contingenza.