lunedì 7 aprile 2014

Ana Celtran Beltran

In molti testi critici per illustrare la poetica di un artista, ci si sofferma maggiormente sulla trattazione delle sue opere, descrivendole e contestualizzandole in modo approfondito, col rischio però di evidenziare principalmente, relativamente alla generazione dell’opera, gli effetti piuttosto che le cause intrinseche all’artista stesso. Oppure, talvolta, si compiono, seppur interessanti, voli pindarici tesi a collocare il tal pittore in un determinato movimento o ad accostarlo al maestro famoso, evitando tuttavia di soffermarsi approfonditamente sul suo Io creativo. Secondo tali modalità critiche, sebbene si riesca comunque a delineare l’operato di un artista, spesso si tralascia di far emergere il processo creativo, la sua filosofia artistica e le sue motivazioni interiori ed intellettuali.
Questo scritto non ha perciò l’intenzione di disertare sulla personale visione antropocentrica e filantropica che si evince guardando le sculture di Ana, nelle quali, la mimesi figurale, intesa come idea di natura, è immersa in un’atmosfera simbolica dai tratteggi stilizzati, bensì di cercare di far emergere le motivazioni e le attuazioni, a livello interiore, che sostanziano in modo costante e continuo  l'esecuzione dei suoi lavori. Dunque mi avvarrò, di una modalità didascalica frutto di una mia rielaborazione ponderata delle discussioni avute durante alcuni incontri informali, presso la galleria L. Sturzo a Mestre, tra me e l’artista stessa, tesa a far emergere alcuni punti focali della sua creatività, ed inizierò, come primo punto, proprio dalla definizione che lei dà dell’idea di Arte. Quest’ultimo concetto è per Ana da intendersi, prima di tutto, come un momento di vita interiore, pertinente alle emozioni, libero da qualsiasi (auto-) inganno e (auto-) falsità in ambito artistico, e anche morale, che l’artista sente la necessità di esprimere attraverso un mezzo di comunicazione visivo, concreto e diretto, costruito tramite parametri di conoscenza, cultura, abilità tecnica e “consapevolezza dei materiali” per se stessa e gli altri. E per evitare che il messaggio veicolato sia espresso male, perché non sincero, confuso o, addirittura, incompreso, esso deve essere capace di  mostrare un significato riconosciuto e condiviso, a livello subconsciale, da tutti. Con tali basi concettuali, l’artista non può che essere cosciente del progetto generativo ed in grado di giungere ad un risultato il quale, una volta plasmato nella materia, sia, allo stesso tempo, sublime nel concetto ed essenziale nelle forme.
Da queste argomentazioni deriva il concetto di finalità dell’arte, da intuirsi come una necessità intimistica ed interiorizzata rivolta a toccare celatamente le corde spirituali, morali, intellettuali ed estetiche dell’animo umano. In tal modo l’opera si trasforma in una visione aperta atta a riverberare le componenti di cui è frutto: esperienza, storia, biografia. Ma non è tutto. Tali elementi si trasformano poi in principi costituenti la conclusione tangibile di una  prassi creativa interiore che porta alla realizzazione della scultura. Tale percorso  inizia con la comparsa delle  idee, da desumersi come armonico connubio di emozioni e quesiti sull'universale, nel cuore dell’artista, le quali poi transitano nella sua mente dove si ordinano sul piano sensoriale per catalizzarsi un una visione antropomorfa dalle valenze simboliche assolute e composta di pura tridimensionalità la quale sembra muoversi da sempre in uno spazio e in un  tempo virtuali. Successivamente tale concezione oramai meditata dall’interiorità della scultrice, attraverso le mani, si tramuterà in sostanziale e tangibile soggetto: un corpo umano. Quest’ultimo per l’artista è concepito quale rappresentazione teorica di un archetipo in grado di avvicinarsi ad un concetto generale e totalizzante di essere umano, perché proteso a manifestarsi in infiniti, ma sempre affascinanti, modi del suo essere. Ciò è confermato anche dal fatto che le figure, per assumere una dimensione concettuale, quasi vicina ad uno stato d’animo, hanno perso quei particolari anatomici, quali la sessualità e la definizione dei volti (usati dall’artista solo quando è necessaria un’ulteriore valenza estetica),  che altrimenti le ancorerebbero alla concretezza fisica e realistica.

            Concludendo, ritengo un evento positivo il fatto che Ana per migliorare ulteriormente le sue già vaste conoscenze sul corpo umano, e capire di esso l’organicità e le armonie, abbia deciso di studiare anatomia presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia ed successivamente voluto risiedere stabilmente nella città lagunare. In tal modo il pubblico veneziano potrà conoscere le sue opere, ma, soprattutto, arricchirsi culturalmente con gli esiti futuri, e forse indirizzati verso una visione astratta, della sua scultura.

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