domenica 19 gennaio 2014

Pierluigi Campione

Caro Pierluigi
Mi ritrovo nuovamente con piacere, a distanza di anni, a scrivere in merito alle tue foto. Certo è passata quasi una decade dalle ultime parole, ma, sebbene esse argomentavano i lavori da te creati in quel periodo, le trovo ancora oggi essenziali per, parafrasando Ivano Fossati, “riavvolgere il tempo” e poter costruire un ideale ponte tra i vecchi lavori e quelli recenti, presenti nella tua mostra personale presso la galleria L.Sturzo di Mestre, ed approfondire  così alcuni aspetti della tua filosofia artistica. Perciò per ampliarne la mia contribuzione argomentativa attuale, è necessario riportare il vecchio scritto:
“Oggigiorno il panorama culturale che si presenta agli occhi dei fruitori è talmente svariato e rutilante che talvolta diventa evento artistico anche la banalità. La ricerca vera del fare artistico comporta studio, preparazione e pazienza e Pierluigi Campione durante tutta la sua carriera  ha dato prova di possedere queste tre qualità. Infatti, andando aldilà di un semplice sguardo, ci si può rendere conto di come ogni sua opera fotografica sia il risultato di un’attenta riflessione dove nulla è improvvisato.
Tra le varie tematiche che egli ha trattato, spicca quella della compenetrazione tra l’arte della fotografia e l’arte della danza. Quest’ultima già in passato è stata raffigurata attraverso la scultura producendo esiti felici, ma i lavori di Campione sembrano offrire nuove prospettive. Con il suo cavalletto e la sua macchina, fermo e immobile, ha narrato e descritto i movimenti aggraziati, ora lenti ora veloci, e le articolate armoniche coreografie che il corpo sa produrre se ispirato dal ritmo della musica. Ma non basta, si è spinto oltre. Sfidando le contingenze fisiche del palcoscenico, quali ad esempio la quantità di luce ed il suo posizionamento, è riuscito ad imprimere alla foto un magico dinamismo, allontanandosi da una visione fissa e stereotipata dell’immagine statica. In tal modo l’atto artistico del danzare si è trasformato in una sorta di scultura nella quale la plastica, tutta intrisa di velocità, le sciabolate di colore, le movenze e le pose ci rimandano con la memoria sia alle opere futuriste sia a gestualità proprie del teatro classico. Il balletto dunque inteso come esecuzione artistica, con Campione travalica i suoi limiti per divenire altra arte: non solo scultura, ma anche pittura. Osservando l’impianto coloristico e/o chiaroscurale che le immagini fotografiche mostrano, si possono intravedere rimandi sia figurativi sia astratti, fusi assieme magistralmente.
E’ chiaro che la danza nell’opera di Campione non è solo soggetto ma anche pretesto sensibile che egli usa per esprimere momentanee emozioni tramite libertà del movimento. Essa dunque, accostata e fusa con altre dimensioni culturali, grazie all’ausilio dell’arte fotografica, diviene un unicum dove musica, gesti, colori e luci si tramutano in un’inesauribile fonte per le sue  ricerche  intellettuali ed artistiche”.
Dal confronto tra queste parole e l’osservazione delle nuove opere, ci si accorge come le parole “danza” e “movimento” siano i cardini su cui si basa la tua creatività, ma anche come le modalità di espressione che esse rappresentano, sul piano artistico sono state da te evolute in modo variegato. Perciò, chiarendo ed approfondendo ulteriormente i contemporanei significati di danza e movimento è possibile capire e contestualizzare questa odierna esposizione mestrina nella quale, ad osservarla bene, si può ravvisare una strana e casuale dicotomia espressiva e passionale, in quanto le foto proposte sembrano la trasposizione visiva del testo della canzone “Voglio vederti danzare” di Franco Battiato.
Tralasciando il dato tecnico, del quale mi sembra superfluo trattare, viste le tue capacità ed i livelli raggiunti, vorrei sottolineare le ragioni profonde della tua scelta della danza come unico soggetto artistico. Il tutto parte dal connubio tra la tua grande passione per la gestualità nel teatro, che tu hai praticato da giovane, ed la disciplinata cadenza esecutiva della musica, che tu senti profondamente. E per cercare di cogliere con la tua macchina fotografica tale corrispondenza tra i gesti del corpo e le note, ti sei immerso nel teatro per ore ed ore, seguendo prove e prime di spettacoli di balletto, concentrandoti all’occasione anche solo su un’unica ballerina, nel tentativo, tra le innumerevoli foto scattate, di individuare tra le movenze quelle tanto significative da attirare il tuo interesse. Ma non è tutto. Oltre a voler raffigurare questo tuo lato interiore, o per meglio dire  sentimentale, nei confronti della danza, nelle tue pose hai magistralmente fatto emergere anche il lato tecnico-artistico, addensando le immagini di un forte valore estetico, incentrato sull’armonia della composizione, il calibrato bilanciamento della figura e la sua giusta proporzione e il soppesato rapporto tra soggetto e sfondo. Hai posto attenzione scrupolosa anche agli effetti della luce e dei suoi riflessi sul palco, sui corpi e persino sui vestiti e le capigliature dalle danzatrici.
Nell’argomentare, poi, sul tuo concetto di movimento, che si sostanzia su un rapporto di variazione di posizione e velocità tra te ed il soggetto, è doveroso sottolineare come esso all’interno del tuo lavoro manifesti due aspetti: da una parte, quello di essere elemento fondante di una costante e mutevole triade composta, oltre che dal movimento stesso, anche dall’importanza della luce e degli effetti della tridimensionalità scultorea che i soggetti presentano; dall’altra, si sottolinea quanto il concetto di movimento si sia evoluto, rivoluzionando il tuo modo di fare arte. Quest’ultimo aspetto evolutivo del movimento, fa sì che esso assuma, sul piano intenzionale, una  funzione antologica e, soprattutto, fornisca una scansione cronologica alla mostra, nella quale sono perciò identificabili tre fasi. La prima, definibile realistica, si realizza nell’istante in cui tu, da fermo, fotografi la ballerina mentre si sta muovendo, restituendo un immagine statica nella quale forma e colore sono ancora identificabili. La seconda, identificabile come futurista, si genera nel momento in cui tu rimani ancora fermo ma diminuisci i tempi fotografici delle pose, in modo che la forma ed i colori della ballerina in movimento si frantumano in tanti velocizzati e sovrapposti fotogrammi dal piglio boccioniano. La terza, inquadrabile nell’astrattismo, si attua quando anche tu stesso sei in movimento, talvolta seguendo la ballerina o talvolta andando nella direzione opposta, cercando di bloccare il tempo nel momento di tangenza tra te e lei, producendo così un’immagine di sola campitura di cangiante colore dai tratti quasi tonali in cui ogni forma figurativa è oramai scomparsa.

Concludendo, visti questi tuoi felici esiti contemporanei, spero vivamente di ritrovarmi a scrivere di tue ulteriori e mirabolanti evoluzioni nel campo della fotografia, magari esulanti dalla danza  e dirette verso altri soggetti.

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