giovedì 12 luglio 2012

Alberto Deppieri

Ancora una volta Alberto Deppieri si dimostra artista concreto, versatile e sempre in movimento all'interno del panorama culturale contemporaneo. Infatti non sono passati che soli due mesi da quando, presso il  Centro Culturale “Candiani” di Mestre, ho avuto l'occasione di vedere le interessanti opere esposte in occasione della mostra dal titolo “Sospensione” ed ora mi trovo a riflettere su una retrospettiva dal titolo “Da uomo cavallo a sospensione” presso la galleria Dictynneion. Tale ravvicinata persistenza nel mostrare il suo lavoro al pubblico non solo lo ha portato alla ribalta, ma mi ha dato la possibilità di poter conoscere in modo più approfondito quali siano le sue peculiarità, emerse anche durante un lapalissiano confronto sul suo fare arte. Ed è proprio iniziando a definire il concetto di Arte che è possibile comprendere la profondità intellettuale di Deppieri. Egli, infatti sostiene che questa si manifesti quando forma, materia ed essenza confluiscono in una situazione posta all'interno di un'ambientazione spazio-temporale che vale la pena, o è necessario, creare; essa ha il compito di attirare e/o respingere chi ne fruisce attraverso la sorpresa, ovvero il cogliere alla sprovvista per creare stupore, e provocare riflessione ed emozionalità. Per rendere concreta e tangibile tale definizione, l'artista deve assumersi il compito oneroso, e talvolta periglioso, di saper evadere dalla quotidianità, spesso permeata dal pattume della frenesia mass-mediologica e dal trionfo del vuoto inganno dell'apparire sull'anima dell'essere, per creare delle metaforiche finestre proiettate verso il futuro. L'artista, dunque, si trasforma in una sorta di aedo, che, da un lato, ha la necessità di plasmare la materia dando tutto se stesso: la sua passionalità, il suo ritroso culturale e la sua biografia, miscelando, a seconda delle necessità, tradizione, capacità tecnica e provocazione; dall'altro, ha l'intenzionalità di rimanere onesto moralmente e culturalmente con se stesso per non creare artifici atti a fuorviare il fruitore. Partendo da tali presupposti, che vedono l'artista aggettarsi nel futuro per captarlo, anche l'opera d'arte si deve interpretare non come un qualcosa di idealmente definito e chiuso, ma come una sorta di quesito che l'artista stesso, attraverso il suo Io, rivolge agli uomini. Questi ultimi, mediante i propri sensi, l'intuito ed il libero pensiero assorbono il messaggio nel loro inconscio per costruirsi una propria personale ed intima risposta. L'opera è dunque un simulacro nel quale una realtà univoca, paradossalmente, palesa ed emana altre realtà che viaggiano all'unisono. La dimensione percettiva, ai fini della formazione di una risposta propria di ciascun individuo, perciò da sola non basta: è necessario che chi osserva l'opera si liberi della razionalità e del ritroso storico per farsi attrarre dalla memoria evocativa nella quale le immagini riaffiorano alla mente come riecheggi lontani dai tratti fantasiosi. E per realizzare un'opera così articolata, Deppieri usa i mezzi che la contemporaneità offre e li fonde con la sua sapienzialità tecnico- esecutiva. Usando vari supporti, dalle tele alle tavole, egli prende spunto da immagini video e/o pellicole, ne fotografa alcuni spezzoni, li estrapola, poi, dal contesto per svilupparli e stratificarli con il disegno, il colore e le resine. Oppure egli mischia questi tre ultimi elementi sovrapponendoli per mezzo della pittura orizzontale che gli permette particolari manipolazioni. Anche  su questo versante creativo prettamente pratico, non emerge mai la casualità. Questo perché nel percorso esecutivo di Deppieri si riscontra una latente ed innata progettualità, maturata, in area veneziana, prima all'Istituto Statale d'Arte e irrobustita poi all'Accademia di Belle Arti, arricchita infine da studi passionali su artisti quali, ad esempio, W. Kandinsky, Piero Della Francesca nonché da influssi di altre manifestazioni culturali, come la musica. Ecco perché nei suoi lavori, oltre ad una percezione mentale archetipizzante ed inconscia, si coglie sempre una captazione visiva funzionale, imperniata su una dimensione di equilibrio, di armonia, di eleganza e di giustapposta calibratura geometrica. A conferma di ciò, è doveroso ricordare l'importanza che la luce riveste nell'operatività di Deppieri: essa trasforma il dipinto in una atmosferica dimensione spazio-temporale, protesa a far emergere il mondo interiore dell'artista  fatto di flebili ed indefinite  tracce, le quali permettono ad ognuno, se ha la capacità, di cogliere i propri personali riverberi. Riprendendo il discorso sulla retrospettiva veneziana, le opere esposte ci danno la possibilità di poter riscontare dal vivo quanto scritto poc'anzi. Alcune di esse sono disposte secondo una modalità dicotomica di massima, che offre i due concetti di luce insiti in Deppieri: nella prima disposizione, si esalta il dato simbolico e sociologico, come si evince nell'opera “Pinocchio”; nella seconda disposizione, la luce assume la duplice funzionalità di sollecitare, da un lato, l'aspetto fisico/optical dell'opera, che, unitamente alla costruzione prospettica, induce il fruitore ad interagire con essa per goderne al meglio le varie sfaccettature, dall'altro, di far rievocare alla mente memorialità recondite dai tratti romantici. La prima parte, come in altri alcuni  lavori, si indirizza verso una matrice figurativa o antropomorfa, mentre nella seconda sono ripresi ed interpretati i tratti paesaggistici di Forte Marghera: questo infatti è un luogo nel quale l'artista ha lo studio e che, per la sua importanza, ha eletto a pretesto-contesto creativo. Credo che la personale e convincente motivazione culturale maturata da Deppieri lungo tutto il suo ritroso, sia come uomo che come artista, lo abbia portato a concepire il suo lavoro come il tentativo di far emergere la componente spirituale intrinseca dell'essere umano cercando di renderla tangibile, in quanto, seppur instabile, imprevedibile e nascosta, è pur sempre parte indissolubile di esso.

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