sabato 28 marzo 2020

Vittorio Ruglioni

Basta scorrere un qualsiasi catalogo oppure osservare una singola opera di Vittorio Ruglioni per comprendere come il soggetto ideale della sua pittura sia l’uomo. Di quest’ultimo, l’artista non offre  una visione edulcorata, serena e positiva, bensì vuole svelarne i vizi e gli orrori, privati o collettivi, per mostrarli come in una sorta di esorcizzazione. E per capirlo basta ascoltare il poeta Mario Stefani quando parla “d'un io smarrito ...nell'infinito dell'universo; ...sei la breve caduta della memoria; ...ombra silente...non dici del mio dolore né della passione ...l'altro silenzio che ci attende”. 
Artista attento, raffinato e cosciente, Vittorio Ruglioni ha quindi creato una pittura in cui il realismo cede il passo a una visione dall’intento sociale ed educativo che punta dritta al puro concetto, all'essenza, libera di orpelli inutili, tendente ad una visione altra, densa, pregna, talvolta destabilizzante, truce e, addirittura, macabra, in cui l’uomo è oramai desolato testimone del suo disastro e del suo sradicamento. Il piglio emotivo e riflessivo delle opere è così forte da suscitare un  tumulto e un’inquietudine interiore in chi le guarda: lo spettatore, anche se il dipinto è pervaso dalla metafora, avverte subito l’assenza della psiche e dell’anima dell’essere umano. Tale perdita dell’io è così forte per Ruglioni che anche gli oggetti che circondano l’uomo, o che egli usa, ne sono una testimonianza, come si può ben vedere nella mostra a lui dedicata dal titolo “Melodia del Silenzio” presso la galleria “Luigi Sturzo” di Mestre. I malesseri dell’io sono sì presenti, ma interposti in quanto personificati dagli oggetti. Infatti nelle rappresentazioni delle sedie si evince come queste sembrano aspettare trepidanti qualcosa, o qualcuno, che è andato via o sta per tornare: ravvicinate le une alle altre, quasi per farsi coraggio, attendono strette la fine della loro angoscia. Le stesse immanenze si respirano osservando le nature morte: collocate in primo piano, talvolta rappresentate all’interno di uno strano spazio prospettico o collocate in una scena il cui sfondo è l’apparente viva Venezia, siano esse conchiglie, vasi, cocci e frutti fra di loro assortiti ed accostati, sono tutti in trepidazione di un divenire positivo. A guardar bene le rappresentazioni dei vasi in gruppo, si è addirittura pervasi dal senso di precarietà e smarrimento. Tali emozioni sono tanto intense da far venire in mente una citazione di manzoniana memoria: “Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima ancor quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”. Nei cavalli a dondolo, invece, l’uomo ricorda la passata gioventù, rievocando il desiderio della felicità senza tempo.
Sebbene egli dipinga carne priva di spirito, contestualizzata in paradossali situazioni del reale, anche quando vuole essere incisivo, graffiante e talvolta crudo, Ruglioni non scade mai nel laido, nel grossolano e nell’inutile. Infatti l’opera appare greve e robusta allo stesso tempo, sospesa nel tempo e nello spazio, stranamente piatta, volutamente icastica, lontana dal perfettismo, in modo da evitare l’inganno dell’effetto estetico, mantenendo la pennellata sempre velata di atmosfera anche quando vibra. 
I suoi lavori sono dunque da intendersi come stralci di brani in cui i soggetti, pur urlando le loro angosce, formano, visti assieme, una silenziosa melodia che induce ad una paradossale tumultuosa  contemplazione. E ciò accade perché questa melodia non volge al requiem e all’ineluttabilità, in quanto, guardando attentamente i singoli lavori, si scorgono bagliori di speranza che si colgono lentamente. Ne sono prova il rimando al gioco, simbolo di felicità, del cavallo a dondolo, il colore latente nascosto sotto i grigi degli elementi lignei delle sedie o il bianco tonante dei fossili nelle nature morte che, generando vivi contrasti, inducono ad una interpretazione ironica se non vitalistica del dipinto.
In conclusione Ruglioni, tramite la sua pittura, ci induce dunque a riflettere sulla nostra condizione di inquietudine quotidiana, ma essa non è ineluttabile in quanto il pittore lascia sempre aperta una via di fuga.  D’altronde finché c’è vita, anche se dura, c’è speranza.

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